Nicola Tommasoli. 5 anni dopo.

di Dennis Turrin

Nicola Tommasoli viveva a Santa Maria di Negrar, un paesino vicino Verona, faceva il grafico, aveva 29 anni.
Quella sera, la sera del 30 aprile 2008, era uscito con degli amici, il giorno dopo non si lavorava, si poteva far baldoria e stare fuori fino a tardi.
Ma Nicola, quella sera, a casa non c’è tornato.
La sua vita è finita in un vicoletto vicino Porta Leoni, nel centro storico di Verona, a meno di un chilometro, in linea d’aria, dall’Arena. E’ finita per mano di cinque ragazzi giovanissimi, tutti sui vent’anni, che non hanno accettato il rifiuto i Nicola e dei suoi amici alla loro richiesta di una sigaretta.

Nicolò Veneri, Federico Perini, Raffaele Dalle Donne, Guglielmo Corsi e Andrea Vesentini, questi i nomi dei cinque aggressori, scaricarono tutta la loro furia su Nicola, lo uccisero a pugni e a calci, l’ultimo, quello fatale, lo colpì alla nuca.
Il grafico 29enne morì in ospedale dopo cinque giorni di agonia.

I cinque ragazzi erano tutti vicini a movimenti di estrema destra, tutti appartenenti alla curva dell’Hellas Verona.
Ma, duole dirlo, il delitto Tommasoli non è certo l’unica aggressione di stampo squadristico avvenuta nella città veneta: pochi mesi dopo quel bestiale omicidio, una ragazza rischiò di perdere un occhio a causa di un bicchiere che la colpì in pieno viso durante la devastazione del bar in cui si trovava da parte di un’altra squadraccia.
Gli ultimi episodi di violenza di stampo fascista si sono verificate all’inizio di quest’anno: a febbraio, attivisti di Casapound e Forza Nuova hanno fatto irruzione all’università, dove una storica slovena stava tenendo una conferenza sul sempre controverso tema delle foibe; a marzo, una spedizione punitiva (in cui era coinvolto anche un consigliere di circoscrizione) ha messo a soqquadro due locali, minacciando con un coltello il titolare di uno di questi, rei di essere “covi” dei loro avversari politici.

Se si esclude la protesta all’università, ci sono due fattori che si ritrovano in tutte questi episodi: il “branco” e l’alcool. E’ una sorta di “squadrismo alcolico”, in cui il fatto di essere in gruppo e qualche bicchiere di troppo inibiscono la razionalità, fino a far fuoriuscire tutto quell’odio represso per chi è diverso, diverso anche solo nel modo di vestire e di pensare, com’era Nicola Tommasoli.

A novembre 2011 il processo d’Appello si concluse con una sentenza scioccante: Dalle Vedove, Vesentini e Corsi furono assolti dall’accusa di omicidio, gli altri due imputati, Perini e Veneri, videro ridotte le loro pene da 14 anni a 10 anni e 8 mesi. Sentenza che non poté di certo soddisfare i famigliari della vittima, ma, paradossalmente, anche i difensori dei due condannati ebbero di che lamentarsi, tanto che uno degli avvocati arrivò a dichiarare che “se il povero Tommasoli è morto per un unico colpo ricevuto, non capisco perché condannare due persone”.

A maggio 2012 la sentenza di Cassazione ha rimesso parzialmente le cose a posto, confermando le condanne a Perini e Veneri, ma annullando l’assoluzione degli altri tre imputati, che ora subiranno un nuovo processo.

Sono passati cinque anni, oramai, ma passando da Porta Leoni si trovano sempre striscioni, dediche e qualche fiore per Nicola, a ricordare la morte inutile di un ragazzo normalissimo, ucciso dall’odio.