Omicidio Aldrovandi, tra indulti e decreti svuota carceri

Mi sento presa in giro. Io non conosco il decreto “svuota carceri”, ma credo che un omicidio non sia un reato minore. Credo che loro siano più tutelati degli altri solo perchè sono poliziotti. E questo mi avvilisce, mi fa star male.

A parlare è Patrizia Moretti a seguito della scarcerazione di una dei quattro agenti (Monica Segatto, difesa dall’avvocato Ghedini) che la notte del 25 settembre 2005 uccisero suo figlio Federico Aldrovandi in prossimità dell’ippodromo di Ferrara. A scanso di equivoci non è una signora che odia la divisa a prescindere, è la moglie di un ispettore di polizia municipale. La condanna per i quattro agenti (confermata in Cassazione) è di 3 anni e 6 mesi di reclusione (poi ridotti con l’indulto) per eccesso colposo in omicidio colposo.

Bastano indulti e decreti svuota carceri, da fare una tantum, per migliorare le condizioni della detenzione in Italia e poterci chiamare finalmente uno Stato di Diritto? E non rischiano di risultare invece dei provvedimenti imbarazzanti come nel caso di Monica Segatto e colleghi? Prendiamo il rapporto 2012 di Amnesty International sul nostro Paese:

Non sono cessate le denunce di maltrattamenti commessi da funzionari delle forze di polizia. Non sono stati istituiti meccanismi efficaci per prevenire i maltrattamenti della polizia né sono state adottate misure concrete per garantire indagini appropriate e, laddove necessario, procedimenti giudiziari contro gli agenti coinvolti in violazioni dei diritti umani. Le autorità non hanno ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e non hanno creato un meccanismo nazionale di prevenzione contro la tortura e altri maltrattamenti, a livello di diritto interno. Inoltre, non è stato ancora inserito nel codice penale il reato di tortura.

Il carcere non è unicamente un ambiente punitivo, deve essere prima di tutto rieducativo. Ma questa sua funzione si bilancia col dovuto e civile rispetto per le vittime. Io penso che nel caso Aldrovandi entrambe le cose siano state chiuse in un cassetto e dimenticate: è mancata la volontà rieducativa già nel momento in cui gli agenti non sono stati immediatamente estromessi dall’esercizio della loro professione e non c’è stato rispetto per l’atroce morte di un ragazzo di 18 anni, la cui vita è stata ridotta ad essere barattata con una pena irrisoria, dal prezzo trattabile, come fossimo al mercato.

Dall’altra parte è evidente che tutti questi provvedimenti di emergenza atti a risanare la pessima situazione carceraria, così come vengono pensati e implementati attualmente, non hanno l’effetto che ci si aspetterebbe, ovvero migliorare la qualità di vita dei detenuti (dall’inizio dell’anno ci sono stati già 8 suicidi e 38 morti totali) senza però mettere in pericolo quella di chi sta fuori. Due esempi veloci:

Udine, agosto 2006: esce dal carcere e tenta di uccidere l’ex moglie. Dov’è la rieducazione? Dov’è la sicurezza della donna?

Giovanni La Bua, 23 anni, esce dal carcere e viene ucciso, probabilmente per un regolamento di conti all’interno dell’ambiente dello spaccio di stupefacenti. Secondo il padre “Ogni volta che si presentava da qualche parte scoprivano che aveva avuto a che fare con la giustizia. E nessuno gli dava lavoro”. Dov’è l’efficacie reinserimento nella società?

Se esiste una risposta all’immenso dolore di una famiglia e a quello fisico di un ragazzo finito a colpi di manganello e botte mentre gridava “basta, aiutatemi” è quella di riuscire a cancellare una volta per tutte dai rapporti di Amnesty la voce sui maltrattamenti (impuniti) da parte delle forze dell’ordine, con particolare cura e attenzione a ciò che avviene proprio dietro le sbarre, nelle stazioni di polizia e nelle caserme dei carabinieri, spesso ai danni di chi realmente si è macchiato di reati minori (vedi il caso Cucchi).

Inoltre ritengo opportuno ridimensionare, e di molto, questo nostro subdolo sentimento nazionalista per cui basta indossare una divisa per essere eroi e stare dall’altra parte della barricata per essere dei teppisti. Io credo che un bel gesto da parte del Presidente della Repubblica sarebbe stato ad esempio, a Natale, evitare la fastosa accoglienza a Girone e Latorre, i due marò per cui ora è esploso un caso diplomatico di cui non voglio e non saprei parlare esaustivamente.

Sarebbe stato un segno di sobrietà, ma dal significato pesantissimo, perché alla luce di tanti fatti criminosi, di tante conseguenti coperture e omissioni, contornate da festicciole militaresche piuttosto inutili, non si può più davvero biasimare chi, come me, pensa che i corpi militari e di polizia godano di tali privilegi da farli essere “più cittadini” di questa Repubblica di quanto non lo siano gli altri. A me piacerebbe solo che il nuovo Parlamento e il nuovo Presidente riuscissero a farmi cambiare idea, ma temo che questi argomenti abbiano troppo poco appeal in un clima di continua campagna elettorale come quello che stiamo vivendo.

5 commenti su “Omicidio Aldrovandi, tra indulti e decreti svuota carceri”

  1. Comprendo il dolore di questa madre, e da madre sono indignata contro chi ha liberato gli assassini dii una giovane vita innocente , colpevoli più che di cittadini normali, perchè tutori della legge e quindi avrebbero dovuto scontare più anni di carcere per il loro crimine.

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