Caro D’Arcais, Renzi è pessimo. E non lo voterò mai

Caro Paolo Flores D’Arcais,

ti stimo e ti seguo da parecchio e ho condiviso spesso le posizioni tue e di Micromega in svariate occasioni, ma permettimi di osservare come abbia trovato poco coerente il tuo ultimo articolo comparso oggi sul Fatto Quotidiano.

Hai scritto:

Il programma di Matteo Renzi è pessimo, il suo stile insopportabile. Il 25 novembre alle primarie voterò Matteo Renzi, firmando anche il “giuramento” per il centrosinistra alle elezioni di primavera. Nelle quali invece, hic stantibus rebus, voterò Grillo. Non mi sentirò in contraddizione e meno che mai disonesto.

Ora, la tua strategia potrebbe anche funzionare (votare Renzi per far esplodere il PD e mettere fine ad un partito equivoco e riorganizzare così la Sinistra italiana), ma certamente è parecchio in contraddizione con la tua storia e quella di Micromega, le cui posizioni sono antitetiche a quelle del sindaco di Firenze.

Votare il meno peggio non è mai servito a nulla, hai perfettamente ragione: il male minore è semplicemente l’antipasto al male peggiore che ci serviranno di lì a poco. Detto ciò, continuo a preferire di gran lunga un voto informato e coerente con le mie posizioni per quello che reputo “il migliore”, piuttosto che votare il male peggiore rappresentato da tutto il crocevia di interessi e poteri forti che sostengono il pupo fiorentino e sono alla ricerca di un riposizionamento tattico per mantenere intatti i propri privilegi.

Votare un sotto-prodotto della ruota della fortuna e del berlusconismo degli ultimi 20 anni semplicemente per mettere alla porta la classe dirigente grazie alla quale il berlusconismo ha conquistato l’egemonia culturale in questo paese mi pare demenziale: il lavoro che ci attende, e non è facile, è quello di far sì che una nuova cultura dell’etica e del lavoro diventi egemone rispetto a quella dei nani e delle ballerine (e del malaffare).

Consegnare la leadership del centrosinistra a Matteo Renzi non renderebbe più agevole il nostro lavoro, visto che si muove sugli stessi binari della classe dirigente precedente, copiando le tecniche di comunicazione del Cavaliere.

Quello che serve all’Italia sono persone che rispondano a quel profilo “dell’uomo in violento contrasto con l’immagine consueta dell’uomo politico” che Vittorio Foa tratteggiò per commemorare la figura di Enrico Berlinguer:

Umanità, franchezza, modestia e discrezione – pure in un incarico di così grande autorità e di effettivo potere – sono connotati che fanno a pugni con le immagini ricorrenti di arroganza, astuzia, presunzione e ostentazione del potere a cui siamo ormai abituati.

Ecco, non mi pare che Matteo Renzi abbia anche solo uno dei requisiti necessari. Per questo (e per mille altri motivi) non lo voterò mai. Molto più coerente sarebbe, da parte tua e di chi è convinto della bontà di questa strategia, rimanere a casa come farò io, visto che tra tutti i contendenti in pista di persone alla Pertini e alla Berlinguer non ne vedo proprio (senza contare che di programmi, ad oggi, manco l’ombra).

Nel 1975, al XIV congresso del PCI, Berlinguer si rivolse così ai già allora parecchi giovani precari e disoccupati che cominciavano a porre un problema serio per la politica italiana (e soprattutto alla Sinistra):

Non vi sono facili scorciatoie, né serve alcuna fuga dalla realtà. Ma non è certo il tempo, non è mai il tempo per rinunciare alla lotta, per chiudersi nel proprio particolare. È più che mai il tempo invece per riprendere fiducia e coraggio, per impiegare l’una e l’altro razionalmente, usando le armi della conoscenza storica e scientifica e lottando in modo organizzato.

Ecco, io sarò poco machiavellico in questo caso, ma preferisco lottare con tante altre persone perbene, piuttosto che andare il 25 novembre a votare alle primarie e votare il male peggiore, ovvero Matteo Renzi.