Negli altri Paesi

Negli altri Paesi il cittadino elettore e contribuente ha l’ultima parola su tutto: non è un cliente, non è un suddito, esercita i suoi diritti civili e politici in piena libertà, partecipando alla vita democratica del suo Paese.

In questo Paese, invece, il cittadino elettore e contribuente non ha voce capitolo in nulla: è chiamato, ogni cinque anni, a fare una X su una scheda, nella stragrande maggioranza dei casi turandosi il naso. L’esercizio dei suoi diritti civili e politici è limitato e impedito da consorterie, comitati d’affari, gerarchie ecclesiastiche, gruppi di interesse, poteri forti, organizzazioni criminali di stampo mafioso.

Negli altri Paesi, il cittadino elettore evasore fiscale, il politico corrotto, l’imprenditore colluso, il criminale mafioso, vengono puniti in modo ESEMPLARE dalla giustizia, ricevono disapprovazione pubblica, sono condannati in tempi rapidi senza scorciatoie “garantiste” che gli assicurino l’impunità.

In questo Paese, invece, il cittadino elettore evasore fiscale è un figo, anzi, fa la figura di mandare avanti l’economia reale con i soldi sottratti al fisco; il politico corrotto è uno statista, perché assicura lavoro e prebende pubblici a clientele, famiglie e amici; l’imprenditore colluso è un grande manager che sa come va avanti il mondo, esempio di fulgido successo da imitare; il criminale mafioso è definito dalle alte cariche dello Stato “un eroe”, osannato nelle serie tv, nei videogiochi, nella cultura nazionale.

Negli altri Paesi il politico che finisca impelagato in qualche scandalo, anche indirettamente, si dimette per difendere l’onorabilità delle istituzioni che sta servendo: e non c’è bisogno di aspettare sentenza, la responsabilità politica è distinta da quella penale e nei paesi dove la cultura politica è imbevuta della tradizione anglosassone del “honesty is the best policy” e dell’accountability, vale più di ogni altra cosa.

In questo Paese il politico colpito da scandali ben più gravi dei suoi colleghi degli altri Paesi, non solo non si dimette, ma utilizza la sua pubblica carica per difendersi dal processo, per attaccare la magistratura, per disconoscere la giustizia del suo Paese, per evocare complotti e quant’altro. E quando muore c’è pure qualcuno che vuole intestargli una strada o una piazza.

Negli altri Paesi insultare l’elettorato da una posizione di privilegio costa la poltrona pubblica e, come nel caso degli USA, la corsa alla presidenza. Non c’è spazio per i “sono stato frainteso”, “i giornali hanno mistificato”. Dare dello sfigato al proprio datore di lavoro comporta il licenziamento in tronco, aldilà delle appartenenze politiche.

In questo Paese, invece, insultare l’elettorato, specialmente altrui, è la norma, soprattutto se non corrisponde ai canoni estetici della cultura dominante fatta di tv spazzatura, tette, culi e prostituzione (fisica e intellettuale). E la follia è che continuano a votarli.

Negli altri Paesi esercitano al meglio la democrazia, in questo Paese ce la stanno scippando e nessuno fa nulla. Io, giovane di 23 anni neo-laureato, me ne vado negli altri Paesi: perché di questo, benché ci sia nato, mi sono stufato.