Saviano, quello che non hai: l’umiltà

Cosa succede quando un giornalista, già autodefinitosi eroe, si improvvisa poeta, cantore, politicante, storico e attore? La risposta è andata in diretta per 3 giorni consecutivi su La7.

Succede che il soggetto in questione, che per brevità possiamo chiamare Saviano, tanto preso dalla propria ambizione, quasi share-dipendente, si crei un personaggio talmente alto, talmente denso e pieno di pseudo-cultura da crollare su se stesso. Un personaggio talmente intellettualistico da coprire quanto di buono la persona che c’è dietro ha; un personaggio capace solo di suscitare distacco, noia, quasi fastidio.

Ho ripetuto sin troppe volte la parola personaggio, ma non trovo altro termine per esprimere quanto ogni sua parola, gesto, postura mi siano sembrati così artificiali, così costruiti.

Per chi si sia sforzato di leggere sin qui, una precisazione: è innegabile che Saviano abbia svolto e continua a svolgere un ruolo di rilievo nella lotta culturale e non solo alla criminalità organizzata. L’intensità di un libro come Gomorra e la rilevanza mediatica di ogni suo intervento o articolo fanno sì che possa raggiungere un enorme numero di persone, che devono essere informate sul fenomeno mafioso. Questo spiega il perchè delle comprovate minacce di morte rivolte a Saviano: la Parola fa paura.

Allo stesso modo un programma come “Quello che (non) ho”, pur con qualche eccesso estetico-intellettualistico, è sicuramente apprezzabile, ha dato spazio a tante testimonianze importanti, come quella di Vanda Bianchi, la partigiana “Sonia”.

Il problema è che ciò che manca in questo paese è la normalità. Manca l’umiltà o la forza di volontà di sentirsi normali e svolgere il proprio dovere.

Qui invece sentono tutti, o quasi, il dovere di strafare. Si sente il bisogno di imporre il proprio personaggio, come se fossero tutti presi dalla paura di essere dimenticati da un giorno all’altro, allo scoccare dei famosi 15 minuti di Andy Warhol. Sembra quasi che il proprio lavoro sia solo un mezzo per arrivare alla notorietà e, una volta raggiunta questa, non ci sia più bisogno di impegnarci in ciò che ci ha reso famosi, ma possiamo concederci il lusso di atteggiarci ad essere onniscienti.

E non è normale che un giornalista, quale Saviano è (o meglio era, prima di lanciarsi nello show business), chieda 4 milioni di risarcimento per danni non patrimoniali e 700mila per danni patrimoniali all’editore del Corriere del Mezzogiorno, giornale con cui, tra l’altro, ha collaborato, prima di acquisire la fama attuale.

Il motivo? L’aver pubblicato una lettera che smentiva alcune affermazioni dello scrittore di Gomorra su Benedetto Croce, peraltro scritta da Marta Herling, segretario generale dell’Istituto Italiano di Studi storici e nipote di Croce, messa in pagina l’8 marzo 2011.

Saviano ha raccontato in tv – e poi in un libro – che Benedetto Croce, durante il tragico terremoto di Casamicciola del 1883, avrebbe offerto 100mila lire a chi lo avesse tirato fuori dalle macerie del sisma in cui era rimasto intrappolato e in cui persero la vita i genitori e la sorella. La Herling sostiene invece che quell’episodio è falso, che Croce, unico testimone oculare di quanto accaduto, non l’ha mai rivelato, pur avendo scritto pagine e pagine di quella drammatica esperienza.

Inoltre, 100mila lire appaiono una somma enorme per l’epoca, visto che il Papa stanziò per tutte le vittime di Casamicciola appena 20mila lire (che ai tempi erano un’enormità).

Premetto che, come già ha fatto notare l’editore della Corriere del Mezzogiorno, sembra quantomeno incoerente che uno strenuo difensore della libertà di parola e di stampa chieda risarcimenti milionari solo perché un giornale si è permesso di contraddirlo su una vicenda peraltro storica e culturale, non di certo personale.

Aggiungo, però, che ci vuole anche un pizzico di umiltà. Fare share da capogiro, avere quasi 2 milioni di fan su facebook non significa essere possessori della verità assoluta. Non dà il diritto di non essere contraddetti. Ti prego, Saviano, scendi dal palco e torna, finalmente, dietro un tavolo a fare quello che sai fare: scrivere.

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