Siamo in crisi, dobbiamo stringere tutti la cinghia (tutti, ovviamente, è ristretto ai soliti noti, ovvero i lavoratori e gli studenti), ma c’è un settore per cui i miliardi abbondano: la difesa. Per quanto incredibile, l’Italia occupa l’ottavo posto al mondo per spese militari, con oneri finanziari per oltre 20 miliardi di euro all’anno, pari a circa l’1,3% del PIL.
Oggi, a colloquio con i cronisti a Montecitorio, il Ministro della Difesa Di Paola ha escluso tagli alle spese militari, spiegando che la crisi economica non fa comunque venire meno funzioni fondamentali come la difesa. Obama, che pure è a capo della nazione più guerrafondaia e con l’esercito più potente del mondo, ha tagliato dappertutto, ma ha aumentato i fondi per la ricerca, l’istruzione e l’università (+21%), perché, ha detto, “non si alleggerisce un aereo buttando giù il motore“.
Qui il motore l’hanno buttato via da tempo e Monti non si dimostra diverso dai suoi predecessori (nessun taglio ai finanziamenti alle scuole private cattoliche, nessuna ICI per la Chiesa per gli immobili commerciali etc.). Eppure, c’è una cosa che risulta totalmente irrazionale: la decisione di confermare l’acquisto di 131 caccia bombardieri nucleari F35 Lockheed. La produzione sarà avviata a fine 2012 nel cantiere di Cameri, in provincia di Novara. A metà 2013 le prime consegne. Non si sa come li useremo, ma il costo complessivo, insieme all’acquisto di 100 Eurofighter (per 10 miliardi) guarda un po’, fa proprio 25 miliardi.
Insomma, potevamo evitarci le lacrime e il sangue dei cittadini, ma potevamo evitarci anche altre lacrime (quelle dei genitori delle vittime) e altro sangue (dei militari all’estero): il beneficio sarebbe stato doppio.
Ma anche voi, volete mettere avere dei cacciabombardieri nucleari, anche se non abbiamo l’atomica? Che ce ne facciamo del welfare state, quando possiamo disporre di una flotta del genere? I matti siamo noi. O meglio, i matti sono le uniche persone razionali rimaste a questo mondo (Giovanni Falcone lo disse dei mafiosi, ma questa è un’altra storia).