La rivoluzione rosa

di Maria Cristina Guido, inviato a “Qualcosa di Sinistra Dilla tu”, qualcosadisinistra@enricoberlinguer.it

Operare un cambio di mentalità è spesso impresa ardua, favorirlo è un dovere morale che chi fa politica per passione e per vocazione non può ignorare. La politica al femminile è negli anni cambiata, si è evoluta, radicalizzata nei movimenti femministi, sfociando oggi nel discorso sulle quote e sulla parità di rappresentanza imposta e non sempre praticabile. Oggi le donne si sentono finalmente scosse da un sussulto, come vittime di un rigurgito mediatico che spinge ad una riflessione profonda.

Andando al fondo di una serie di vicende che ci squalificano agli occhi dell’Europa intera, non si può non indagare i cambiamenti e le involuzioni che la società italiana ha recentemente maturato. “Lo scandalo Ruby è l’ultima puntata di uno show che dura da diciassette anni: da quando Berlusconi è entrato nella scena politica per esibirsi di fronte a un pubblico plasmato dalla cultura televisiva che in trent’anni lui stesso ha contribuito a creare”, questo riporta il The New York Times del 2 febbraio scorso. Nella repubblica televisiva che siamo diventati, i messaggi subliminali lanciati tracciano un quadro disarmante e inducono a sfruttare le proprie doti fisiche per essere “qualcuno”, per “essere riconosciute”, più importante che “essere pensante” o “essere” e basta. E se non le possiedi quelle doti puoi sempre ottenerle in maniera artificiale, posticcia, e da qui il regalo più richiesto dalle diciottenni che le catapulta felici in uno studio di un chirurgo estetico. Ma noi donne, noi mamme ed educatrici abbiamo delle responsabilità, che sono evidenti.

Assuefatte all’idea del successo a tutti i costi, studiamo e ci creiamo una posizione nel mondo, ma poi accompagniamo le nostre figlie ai concorsi di bellezza e rivaleggiamo con le altre mamme fuori dagli studi televisivi in cui si tengono provini. Troppo semplice bollare gli episodi, non così sporadici, come frustrazioni recondite riversate sulla prole. Oggi la società funzione diversamente, che non si adegua resta al palo, allora al diavolo i principi delle nostre nonne. Allora, se noi stesse abbiamo abdicato a tutto questo, se nelle urne le donne non votane le donne, se le lotte femministe sembrano solo ricordi sbiaditi, cosa può fare un partito riformista come il PD? L’Istat rivela, con la freddezza dei numeri, il prodotto di questi anni: in Italia una donna su due non lavora e non cerca lavoro. Statisticamente sono definite semplicemente donne «inattive». Il nostro tasso di inattività supera quello di tutti gli altri 26 Paesi europei, con l’esclusione di Malta. Specularmente, le donne «attive» sono il 46,3%, da arrossire di fronte al 66,2% della Germania, al 60% della Francia, per non parlare del 71,5% dei Paesi Bassi. Non penso che la gran parte delle donne italiane scelga, come forma ideale di realizzazione professionale, la cura dei figli e la famiglia, altrimenti non si spiegherebbero il calo delle nascite e il tasso di istruzione che è superiore rispetto a quello maschile. L’inattività rivela invece una mancata volontà di mettersi alla prova. L’ultimo rapporto del World Economic Forum sulla parità di genere nel mondo del lavoro e delle imprese ci pone al 74° posto, dopo Malawi, Ghana e Tanzania, per fare alcuni esempi.

A far scendere il nostro Paese nella classifica è soprattutto la scarsa performance sul fronte delle opportunità di lavoro e di carriera. Una difficoltà legata, secondo i risultati dell’indagine, ad una carenza di servizi di supporto, come gli asili, ma anche alla mancanza di modelli femminili di riferimento e ad un clima generale molto maschilista. E dove potrebbero trovare questi modelli le donne italiane? Tranne alcune recenti eccezioni che iniziano a farsi strada in importanti istituzioni di rappresentanza (Marcegaglia e Camusso), il mondo politico non offre certo grandi esempi. Siamo tutte come Pina Bausch in Kontakthof? Siamo passivamente in balia di uomini famelici? Non credo.

E’ arrivato il momento di allontanarsi dai propri mentori, è il momento di incidere di più e meglio in questa società optando per un radicale cambiamento del concetto di rappresentanza. Si oscilla tra due modelli evocati dagli uomini, anche di sinistra: le mignotte o le donne da esporre come vessillo, quelle belle, mogli, sufficientemente colte. No quote, no riserve indiane e rivendicazione della diversità rispetto agli uomini ed alle loro esigenze. Quando siamo al potere, quando ricopriamo incarichi di sindaco, consigliere comunale, provinciale o regionale, o segretario di partito favoriamo il ricambio generazionale, responsabilizziamo, affianchiamoci altre donne che possano portare avanti il nostro operato.

Combattiamo noi stesse la personalizzazione della politica, che sta diventando imperante, avversiamo i simboli “personali” dei partiti e torniamo all’idea di movimento politico come movimento di idee e non di persone. Creiamo luoghi di aggregazione, diamo vita a Melting pot di incontro e di dialogo, cooperiamo, lavoriamo nel sociale, sensibilizziamo le nostre sorelle e le nostre figlie alla new economy ed alle energie alternative. Coltiviamo il valore del merito e della formazione come baluardo di emancipazione. Solo così possiamo sperare in una prospettiva migliore.


 

8 commenti su “La rivoluzione rosa”

  1. il mentore e’ lo scopritore del talento di una persona che non sa di possedere ,e’ possibile allontanarsi da costui?

  2. teresa nell’accezione comune mentore significa semplicemente consigliere..;)..io dico che è possibile allontanarsene soprattutto se è un consigliere che nn da consigli ma inculate..:)..ogni riferimento a cose o persone esistenti e attuali è puramente casuale..:)

  3. io penso che sia addirittura necessario ad un certo punto staccarsi anche dal mentore più bravo, quello che non “inculca” ma aiuta a capire…..solo che poi occorre vivere e sperimentare le scelte e scoprire il “valore” della solitudine nelle scelte….

  4. la rappresentanza diretta sarebbe la cosa migliore..che in un contesto fantascientifico potrebbe essere realizzata con un voto diretto e giornaliero tramite internet ad esempio la sera per ogni disegno di legge ..con il parlamento preposto semplicemente a raccogliere e formalizzare proposte di legge provenienti dal basso o dall’alto..e la sera il popolo a votare..cosa ovviamente nn fattibile per una questione di interessi ed equilibri economici, immaturità popolare a tutti i livelli(senza generalizzare ovviamente)e adolescenza tecnologica che nn garantisce prima di tutto la correttezza e la nn manipolazione dei dati soprattutto elettivi.. la figura del mediatore culturale e dell’informatore che oggi coincide sempre più con la figura del controllore rimane il primo utopico passo verso una vera democrazia dalla quale più che avvicinarci ci stiamo allontanando soprattutto con berlusconi che ha eliminato e sta eliminando ogni filtro politico..l’industria e cosa più grave l’informazione privata al potere(aspettando pure montezemolo) sta distruggendo la funzione e l’unica vera ratio della politica..quella cioè di mediare tra gli interessi dei vari gruppi sociali..per cui nn datemi del pessimista se vi dico che la vedo male signori..molto male..:)..buoni incubi a tutti..:))

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