L’odore acido di quei giorni, di Paolo Grugni

Odio i libri gialli. Con questo stato d’animo (che è più di una considerazione) mi accingo a leggere “L’odore acido di quei giorni” di Paolo Grugni pubblicato da Laurana editore. Allora che lo leggi a fare? Qualcuno potrebbe dire. Confesso: l’ho preso in mano solo perché in copertina c’è una foto degli scontri dell’11 marzo del 1977 a Bologna, il giorno in cui è stato ucciso da un carabiniere Francesco Lorusso. Nella foto si vede una barricata e un blindato della polizia che avanza dentro l’università. Ed io c’ero! Proprio dietro quella barricata, o in un’altra (ce n’erano tante), non fa differenza. Il ricordo del sapore acido dei lacrimogeni, della rabbia, del pianto e delle note di un pianoforte sulla strada che suonava Beethoven mentre molotov e sampietrini volavano per l’aria m’è rimasto appiccicato nella pelle, incancellabile come un tatuaggio. Ma questa è un’altra cosa. Veniamo a libro. Come dicevo, l’ho letto. E l’ho letto con quello stato d’animo.

È stata una sorpresa. È bello, molto. L’intreccio è avvincente come si addice ad un giallo. C’è un assassino, ci sono un carabiniere, una poliziotta dei servizi speciali e un medico fallito accusato di fiancheggiamento alle Brigate Rosse che svolgono le indagini (un po’ casarecce, per la verità, dando al tutto un sapore genuino di cose di casa nostra molto lontano da quel gusto anglosassone cervellotico e distante che in genere i gialli che vanno per la maggiore possiedono). Insomma ci sono tutti gli ingredienti tipici d’un romanzo di genere. Ma la cosa particolare è, ed è questa la più interessante, che la trama, la storia narrata è poggiata, in una sovrapposizione perfetta come fossero due fogli trasparenti che solo insieme danno il senso al disegno, sopra la Storia vera di quei mesi. Infatti sullo sfondo (ma talvolta anche in primo piano) ci sono gli avvenimenti realmente accaduti scanditi, come in un orologio, da Radio Alice o dalla partecipazione diretta ai fatti dei protagonisti.

Tutto si svolge tra il dicembre del 1976 e l’11 marzo del 1977. L’esplodere del movimento, le occupazioni delle università, gli scontri con la polizia, la cacciata di Lama dalla Sapienza di Roma, la politica repressiva di “Kossiga” (allora ministro degli interni e protagonista della strategia della repressione del movimento), sono le quinte del teatro di questo giallo particolare che si svolge alla periferia dell’epicentro della contestazione. Infatti tutto è ambientato tra Persiceto e Sasso Marconi, giù, fino a Casalecchio che uno dice: che potrà mai capitare in questi paesotti sonnolenti e anonimi mentre a Bologna scoppia l’inferno? Invece no. Proprio in questo ambiente addormentato in cui tutti si conoscono si svolge una storia di omicidi all’interno (o all’intorno) di Ordine Nuovo. Ma guarda! Ed i grandi avvenimenti di quei mesi arrivano solamente come echi, rimbombi lontani d’un mondo in ebollizione. Fino all’epilogo, però. Come si fossero dati appuntamento, in quell’11 marzo tragico, in via Mascarella, si concludono le storie. Quella vera vergata su un muro con tanti cerchi di gesso intorno ai fori delle pallottole e quella della finzione. Insomma, un appuntamento perfetto!

Sono costretto a ricredermi: odio i gialli tranne uno, questo. La sua lettura è corsa via, veloce come un treno, trascinata dal vortice degli accadimenti confusi in un intrigo di realtà e finzione. Forse, in un clima di colpevole rimozione, anche così si può raccontare la Storia.

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