Se diritti e democrazia valgono meno della stabilità

Le rivolte in Nord Africa sono, da settimane ormai, in prima pagina su tutti i media del mondo e sembra proprio che qualcosa di epocale stia accadendo nel mondo arabo, che grazie ad uno spaventoso effetto domino, sta mostrando in tutta la sua potenza l’opposizione dei popoli a regimi dittatoriali. È sotto gli occhi di tutti quanto fondamentale possa essere una svolta per la tutela e la valorizzazione dei diritti umani e delle democrazie in territori che da decenni, sono oppressi da regimi che limitano spregiudicatamente la libertà di autodeterminazione dei propri cittadini.

È indubbio, tuttavia, che un’altra questione fondamentale si apre a seguito di questi accadimenti, l’andamento del prezzo del petrolio. I paesi del Nord Africa e del Medio Oriente che al momento si trovano nell’occhio del ciclone o che rischiano seriamente di finirci, infatti, compongono per la maggior parte l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio. Dato per scontato il fatto che gli shock petroliferi siano influenzati dagli eventi storici, è interessante vedere come l’andamento della serie storica del prezzo del greggio presenta dei picchi in corrispondenza di tre principali periodi del recente passato: il primo segna un’ascesa dei prezzi a partire dall’embargo petrolifero del 1973 che Libia e Arabia Saudita attuarono contro gli USA, fino alla rivoluzione iraniana di fine anni ’70; il secondo picco si raggiunge con la guerra del Golfo nel 1990; e il terzo, che presenta cause totalmente differenti, è datato luglio 2008.

Dal punto di vista strettamente macroeconomico gli shock petroliferi hanno radicalmente mutato l’entità del proprio impatto nei sistemi nazionali nel corso del tempo. In passato, infatti, il consumo di petrolio giocava un ruolo molto più di primo piano che adesso. Le potenze di oggi utilizzano energie alternative e risparmiano molto di più che in passato, e così, nei cosiddetti paesi del primo mondo, l’aumento del prezzo del greggio non dovrebbe influenzare catastroficamente la produzione e non condurrà alla tanto temuta stagflazione che si conobbe negli anni ’70. Nei paesi emergenti, invece, prima fra tutti la Cina, le conseguenze saranno molto più pesanti e il freno alla produzione sarà probabilmente più incisivo.

L’Europa, il cui obiettivo, perseguito tramite l’intervento della BCE, è sempre stato la stabilità dei prezzi, sembra condurre una prudente politica monetaria, appoggiata anche dall’effetto di accise e tasse sul valore aggiunto molto elevate, che scoraggiano l’eccessivo consumo di petrolio.

Come abbiamo visto, quindi, è evidente che i mercati tendano alla conservazione piuttosto che al progresso, perché il progresso crea incertezza e l’incertezza fa paura a chi investe. In questo conflitto che vede stabilità dei mercati e tutela di diritti umani e politici camminare su binari non certo paralleli, nessuno prima di adesso aveva mai osato porre alcuna obiezione. La diplomazia internazionale, infatti, segue tradizionalmente una linea che prevede di assecondare i regimi pur di garantire la famigerata stabilità. Le ultime uscite pubbliche, però, sorprendono positivamente poiché la condanna a violenza e totalitarismi giunge da un coro unanime composto dagli stessi che nel 2009 a l’Aquila avevano accolto Muammar Gheddafi a braccia aperte. Hanno tutti sorprendentemente cambiato idea sul conto di quest’uomo che da miglior amico si è trasformato in peggior nemico.

Nessuno in questa sede vuol peccare tanto di presunzione da pretendere di ribaltare le tristi e crudeli dinamiche dell’economia mondiale. È pur vero, però, che è innegabile la complicità dei Governi occidentali nel mantenimento di questi regimi. Il timore che gli Stati importatori hanno verso gli esportatori li ha resi totalmente inermi di fronte alla questione umanitaria che i regimi arabi sollevano. Essi si sono rivelati incapaci di intraprendere rapporti strettamente commerciali con i tiranni opponendosi contemporaneamente alle gravi limitazioni di libertà che subiscono le popolazioni nordafricane e mediorientali.

Dopo il passo avanti che hanno fatto negli ultimi giorni i Governi occidentali, ci si aspetta, quindi, che essi sfruttino il momento per rivisitare il metodo di gestione delle relazioni internazionali con paesi antidemocratici, perché le circostanze suggeriscono che in questo modo si possono prevenire catastrofi umanitarie. Per una volta, insomma, sarebbe indicato sacrificare i mercati per far trionfare i diritti.

10 commenti su “Se diritti e democrazia valgono meno della stabilità”

  1. gli interesse con Gheddafi sono troppo importanti per la politica occidentale …e nessuno fa la prima mossa… e intanto continuano a morire…. Un popolo che rivendica un diritto di libertà e democrazia..

  2. vorrei sapere quando anche noi solleveremo una grande questione morale,legale,liberta’ di stampa di pensiero opinioni (..peggio di cosi’,si e’ toccato il fondo…stanno scavando!) da far… tremare brrr!,,,abbiamo smesso di pensare,figuriamoci ‘pensare’ di agire…pura utopia. ma’ ! troppe belle parole merci

  3. Io che mi riduco a bazzicare da queste parti…ahahahahahahah…complimenti Marchingiglio…detto da uno che ha “qualcosa di destra” ;)

    Paul

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