Tra sogni, ricordi e realtà

di Domenico Calabria, inviato via “Qualcosa di Sinistra DILLA TU”

Assistere ad un concerto di Francesco Guccini, consapevole dei tuoi cinquant’anni, sai già che comporta dover fare i conti con il tempo passato, con una giovinezza ormai sfumata.

Assistere ad un concerto di Francesco Guccini, consapevole dei tuoi cinquant’anni, insieme al tuo compagno di banco del liceo, compagno di lotte, di speranze, compagno… e basta, significa mettere a serio rischio l’intero sistema emotivo, significa voler farsi del male.

Ti ritrovi lì a cantare quelle vecchie canzoni, con quell’espressione inebetita che simula lo stesso entusiasmo che ci hai messo trent’anni fa. E ti viene pure da sorridere osservando l’espressione inebetita dell’anziano signore sistemato poco più avanti che si ostina a voler ricordare una ad una le parole di quelle canzoni d’un tempo per lui ormai lontano. A quel punto, come se qualcuno ti svegliasse bruscamente da un sonno profondo, ti accorgi che nemmeno tu riesci a ricordare tutte le parole, ma anche che quel tempo è molto lontano anche per te, e che in fondo quell’anziano signore sistemato poco più avanti non ha poi così tanti anni più di te.

E ad ogni canzone cerchi di associare momenti vissuti, perché in quei momenti c’è la canzone che stai ascoltando; è la canzone stessa il momento vissuto.

Auschwitz, Canzone per un’amica, Dio è morto… Riaffiorano i sogni, le speranze, le utopie. Cerchi di non fare bilanci, non è il momento. Ma è inevitabile: non puoi non chiederti com’è andata a finire, se Dio è risorto. La risposta ce l’hai, la condividi col compagno di banco del liceo che hai a fianco e la cogli negli occhi dei tanti altri della tua stessa età che, come te, hanno visto tanti anni fa un futuro migliore. La cogli pure nello sguardo dell’anziano signore sistemato poco più avanti.

Il futuro di allora è il presente di oggi. Ti guardi attorno, spaesato, confuso, disorientato e ti chiedi se ciò che vedi è proprio ciò che avevi sognato. No, non è quello, non hai dubbi.

Intanto Francesco canta le sue canzoni e guardi il palco; ti accorgi che proprio lì sotto non ci sono quelli della tua generazione: ci stanno tanti giovani, qualcuno ha la bandiera rossa col “Che”; saltano, ballano, urlano che Dio risorgerà.

Che belli che sono i loro sogni, le speranze, le utopie. Lo stesso nostro entusiasmo di allora, certi di ritrovarci in un futuro migliore.

Ti investe Il dubbio di aver fallito, ti senti responsabile per aver consegnato loro un mondo che non volevano così. Ma se cantano le stesse canzoni che tu cantavi trent’anni fa, con la stessa rabbia e la stessa speranza, allora qualcosa di buono c’è nel mondo che abbiamo costruito. Non tutto è perduto.
Termina il concerto.

Ti rimane un groppo in gola insieme ai ricordi e alle tante domande senza risposta.
All’uscita ci si mischia con i tanti ragazzi poco prima sotto il palco. Ci sono ancora quelli con la bandiera del “Che”, altri con gli striscioni come se tornassero da una manifestazione.
Uno di loro ti osserva e non sai cosa stia pensando con quell’aria compassionevole. Ti viene la tentazione di raccontargli tutto, di dirgli il finale. Perché tu lo conosci il finale, tu sai tutto della vita, tu lo sai che Dio non è risorto.

Ti sovvieni e ti chiedi se invece lui non sarà più bravo di te nel costruire un mondo migliore. Perché no?

Ritrovi allora il filo di speranza che ti eri perso lungo i trent’anni di lotte e di sogni mai avverati e ti vien voglia di tornare indietro sperando che Francesco canti di nuovo quelle canzoni per poterle riascoltare urlando e cantando anche tu con la bandiera del “Che” sotto il palco, e non defilato nelle ultime file vicino a quell’anziano signore poco più avanti.

Quel ragazzo ti guarda ancora una volta, poi se ne va. Non gli dici niente.

E’ difficile spiegare, è difficile capire, se non hai capito già.

Domenico Calabria

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