Milano, il PD e la sfida del Terzo Polo

La notte piovosa come epilogo ideale. Questo il clima a Milano durante le primarie, non mutato durante la notte. I dati vengono snocciolati a intervalli di mezz’ore in quel del comitato per le primarie, e sin dal primo dato si comprende il finale: 25% delle schede scrutinate, Pisapia in vantaggio di un voto rispetto a Stefano Boeri, più staccati gli altri. Prima ancora che vengano diffusi i dati definitivi, i leader locali del PD si trasferiscono nel palazzo di fronte, sede della Federazione provinciale per interrogarsi sul risultato.Il dato finale non lascia scampo: Giuliano Pisapia vince le primarie con un distacco di quasi 3000  voti. Il delitto è consumato.

Il giorno dopo tutti i giornali e telegiornali nazionali annunciano la disfatta del PD e la remissione dell’incarico di Pierfrancesco Majorino, capogruppo PD al Consiglio Comunale, Roberto Cornelli, segretario provinciale del PD, Francesco Laforgia, coordinatore dei circoli della città di Milano e Maurizio Martina, segretario regionale del PD. Le dimissioni erano plausibili, in molti si aspettavano una presa di responsabilità. Così non è stato, o almeno, non del tutto: i dirigenti si sono limitati a rimettere il mandato alle rispettive basi che li avevano legittimati.

Se Milano piange, Roma certo non dorme: Velina Rossa, nota politica vicina a Massimo D’Alema, chiede le dimissioni di Filippo Penati, coordinatore della segreteria di Bersani, come presa di responsabilità del dirigente milanese, ex segretario provinciale dei DS e già Presidente della provincia di Milano, coordinatore della mozione Bersani al congresso dello scorso anno. Quel che è certo, a Milano e in Lombardia ogni vertice è di colore bersaniano e nessuno si è discostato dalla candidatura di Boeri, riponendo enorme convinzione nella candidatura dell’architetto. Le conseguenze politiche erano dunque inevitabili, come un deciso interrogativo sulla direzione politica che il PD s’è dato riguardo la “questione settentrionale”.  Due giorni dopo la sconfitta, Penati si dimette dall’incarico;  mossa abbastanza inevitabile, sia per evitare le ire dalemiane (dati i rapporti di leadership non sempre cristallini all’interno della mozione Bersani) e quindi ben peggiori conseguenze, sia per salvare la catena di comando al Nord (nella nota, Penati esprime fiducia verso i “remittenti”)

A rendere più ricco il panorama all’interno dei dilaniati democratici è la fantomatica nascita di una candidatura attorno a un “terzo polo”, già preannunciata in caso di vittoria di Giuliano Pisapia. Parte dell’opinione pubblica e dei partiti centristi, indicano in Gabriele Albertini, già sindaco di Milano dal 1997 al 2006 e attuale eurodeputato eletto nelle fila del Pdl, come candidato sindaco di questa coalizione, composta da Api, Udc, Fli. A questa coalizione potrebbe incredibilmente aggiungersi il PD. Questa suggestione viene dalla corrente veltroniana per bocca della sen. MariaPia Garavaglia che indica nel “sindaco in mutande” la scelta giusta verso cui dovrebbero tendere i democrats.

Il PD al nord è in continuo calo di consensi e non sono bastate le ricette penatiane-bersaniane a frenare lo scollamento fiduciario tra elettori e partito, e il risultato delle primarie ne è una prova lampante. Milano rappresenta l’emblematico nodo gordiano del PD: governata per anni da sindaci di sinistra, città industriale e operaia che si è rapidamente trasformata negli ultimi vent’anni, non amministrata dalle forze di centrosinistra dal 1993, non pervenute da un elettorato mutuato considerevolmente.

Dunque, quale lo scenario migliore per lanciare un progetto a livello nazionale? Milano in questo ambito può diventare la partita di confronto in vista della nascita nazionale del terzo polo: qui Futuro e Libertà terrà la sua assemblea costituente; sempre qui Veltroni incontrerà i suoi fedeli radicati in città. Questa sfida partirà da Milano dunque, e non è per nulla scontato il fatto che Albertini celi qualcosa di più grosso: la diaspora totale dei veltroniani verso il nuovo aggregato? Sarà, certo non sarebbero i primi a migrare verso un progetto ben più riformista di un PD troppo lanciato a sinistra dopo l’ultimo congresso, come dichiarato dal veltroniano Giorgio Tonini. La prima fuoriuscita di Rutelli e “coraggiosi” ha fatto supporre che tanti mancavano all’appello, e che le scosse d’assestamento non erano neanche cominciate.  La domanda piuttosto lecita riguarda la scienza politica e l’analisi del sistema partitico: il PD, per bocca di Veltroni, non avrebbe portato l’Italia verso il bipartitismo? In letteratura bipartitismo e terzo polo stridono come il gessetto sulla lavagna. Quel che è certo è che nel guado, citato da Fassino nella sua mozione-programma dell’ultimo congresso DS del 2007, i democrats ci sono rimasti in mezzo, a piè pari.

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