#BastaunSi? #MaAncheNO – Come sarà il nuovo Senato

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Il Senato, come riconfigurato dalla riforma, sarà composto da 100 senatori, di cui 5 nominati per 7 anni dal Presidente della Repubblica (per gli stessi meriti fin d’ora richiesti per i senatori a vita) e 95 eletti dai Consigli regionali (e dai Consigli delle province autonome di Trento e Bolzano), di cui 74 saranno consiglieri regionali e 21 saranno sindaci, nella misura di uno per ciascuno (19 dai consigli regionali, 1 ciascuno per le province autonome di Trento e Bolzano). Gli attuali senatori a vita (Mario Monti, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Carlo Rubbia) manterranno la carica, la quale continuerà a spettare anche agli ex-Capi dello Stato (ad oggi, quindi, solo Giorgio Napolitano). Tale composizione dovrebbe rispecchiare la nuova ragion d’essere dell’organo, i cui membri non rappresenteranno più la Nazione, bensì le istituzioni territoriali.

La prima questione che salta facilmente all’occhio è la presenza, del tutto illogica, dei senatori di nomina presidenziale in una (presunta) camera delle autonomie territoriali. Per quale motivo, se si voleva mantenerli, non sono stati “ricollocati” alla Camera? Così facendo, invece, più che dare lustro ad un’istituzione, questi nuovi senatori “a scadenza” sembrano costituire un “partitino” del Presidente della Repubblica, peraltro numericamente consistente (e ipoteticamente determinante in talune circostanze) trattandosi del 5% dei componenti. Non è detto poi il Capo dello Stato li nomini a inizio mandato, quindi la durata del loro mandato risulterebbe sfalsata rispetto alla sua.

Le incongruenze, comunque, non si fermano qua e per rendersene conto è sufficiente raffrontare il nuovo “Senato dei 100” con il Bundesrat, che i fautori della riforma sostengono di aver preso come modello.

Se nel Bundesrat tedesco siedono infatti i rappresentanti dei governi dei Lander, che svolgono solamente quella funzione e hanno un preciso vincolo di mandato, non godono di alcuna immunità parlamentare e non partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica, i nuovi senatori italiani non avranno alcun vincolo di mandato (quindi finiranno per rappresentare se stessi o i propri partiti di riferimento, non le istituzioni territoriali), godranno dell’immunità parlamentare (gran beneficio per la classe politica, quello dei consiglieri regionali, più corrotta d’Italia) ed eleggeranno il Presidente della Repubblica, oltre ad esercitare una doppia carica. Risulta quindi del tutto fuori luogo un paragone con il sistema tedesco. Anche nell’altro modello, quello francese, tirato spesso in ballo dai nuovi “padri costituenti”, il Senato rappresenta sì gli enti locali ed è una Camera a rappresentanza indiretta, ma viene eletto da un enorme collegio di grandi elettori (162mila tra deputati, senatori, consiglieri regionali, generali e delegati dei municipi), non da 800 e passa consiglieri regionali.

Inoltre, a quale titolo consiglieri regionali e sindaci comporranno il Senato, pur essendo stati eletti – a suffragio universale diretto – per ben altri incarichi? E da dove deriva la legittimazione dei Consiglieri Regionali, eletti dal popolo in tale qualità e non come “grandi elettori”, ad eleggere i futuri componenti del Senato?

Il nuovo art. 55 della Costituzione recita che il Senato “rappresenta le istituzioni territoriali”, non il popolo, ossia i cittadini che risiedono e vivono su un determinato territorio. Ebbene, secondo la teoria della rappresentanza politica, in uno Stato unitario (a differenza che in uno Stato federale come quello tedesco, cui forse ci si vorrebbe impropriamente ispirare) il rappresentante è il Parlamento, mentre il rappresentato è “tutto il popolo”, non le istituzioni territoriali. Si può legittimamente sostenere che il concetto di rappresentanza non debba necessariamente riferirsi all’intero corpo elettorale nazionale, ma pur sempre di corpo elettorale (volendo pure regionale) deve trattarsi! Così prevista, dunque, la nuova modalità di elezione del Senato – come sostenuto da insigni costituzionalisti – contrasta con il principio supremo della sovranità popolare, scolpito all’art.1 della Costituzione.

Tuttavia, una qualche forma di legittimazione popolare potrebbe, in apparenza, essere recuperata grazie alla previsione secondo cui l’elezione dei 74 consiglieri regionali dovrà avvenire «in conformità alle scelte degli elettori». Cosa significhi propriamente tale espressione non è dato sapere. Si sa solamente che sarà la futura legge elettorale del Senato ad attribuire un significato a questa formula, definendo le modalità di elezione. Non si può invece sapere se e quando tale legge verrà approvata. In attesa della legge elettorale definitiva, esiste una norma transitoria per eleggerlo la prima volta (art.39 della legge di riforma): in base al comma I, ogni consigliere regionale potrà votare solamente per una lista di candidati, formata da consiglieri e da sindaci dei rispettivi territori. Ma nella norma non viene spiegato quanto lunghe devono essere queste liste, un aspetto non secondario, dato che deve esserci la possibilità di effettuare surroghe (cioè sostituzioni in caso di decadenza o dimissioni dalla carica di consigliere o di sindaco). Inoltre, non vi è alcun criterio chiaro per distribuire i seggi residui, probabilmente 24 su 95.

Su questo punto, Paolo Feltrin, docente di Scienza Politica all’Università di Trieste incaricato dalla Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali di studiare la possibile nuova legge elettorale e le sue conseguenze applicative, ha dichiarato, dopo 3 mesi di simulazioni: “Bisogna scegliere tra due metodi diversi: ovvero, se distribuire subito i posti in proporzione agli abitanti e poi colmare i buchi delle Regioni che non arrivano a due seggi. Oppure se assegnare subito due posti a ogni Regione, e poi redistribuire i 53 seggi mancanti.Due metodi che produrrebbero effetti di rappresentanza differenti: per esempio, con il primo metodo la Lombardia otterrebbe 14 senatori, col secondo solo 11, mentre la Liguria passerebbe da 2 a 4 seggi.

In luogo di tale confusa previsione, si sarebbe invece potuto ugualmente provvedere al superamento del bicameralismo perfetto, mantenendo al contempo l’elezione diretta del Senato. Dove sarebbe stato il problema? L’elezione indiretta, inoltre, si riflette sul mandato dei senatori, il quale coincide con quello della carica “di provenienza”. Quando il singolo senatore, per qualsiasi ragione (fine mandato, dimissioni, morte), decadrà dalla carica di consigliere regionale o sindaco, decadrà contemporaneamente anche da quella di senatore. Il Senato sarà così un organo a rinnovo permanente, che vedrà una continua alternanza di soggetti diversi, alcuni dei quali, in ipotesi, presenzieranno a una parte dei lavori su un dato provvedimento senza giungervi a conclusione, mentre altri subentreranno a lavori già avviati.

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Senza soffermarsi a smascherare il falso slogan secondo cui la riduzione dei senatori e l’abolizione delle loro indennità comporterebbe una cospicua riduzione dei costi (la Ragioneria dello Stato ha stimato risparmi per soli 48 milioni di euro), passiamo a dimostrare come la forte riduzione del numero dei senatori, e il contestuale mantenimento di 630 deputati, porti ad effetti tutt’altro che positivi, a differenza di quanto demagogicamente sbandierato dai fautori della riforma.

L’eccessiva differenza numerica dei componenti delle due Camere, anzitutto, renderebbe quasi completamente irrilevante la presenza dei senatori nelle riunioni del Parlamento in seduta comune (che, si ricordi, svolge le importanti funzioni di eleggere il Presidente della Repubblica e un terzo dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura). Inoltre, data la distribuzione dei senatori in proporzione alla popolazione, molte regioni (ben 8, oltre alle due province autonome) avranno diritto a mandare in Senato un solo consigliere regionale, che come ovvio sarà eletto dalla maggioranza di turno, privando di rappresentanza le opposizioni e le minoranze. Difatti, non essendoci posto per i sindaci di tutte le città capoluogo né per i rappresentanti di tutte le Province, ci saranno territori rappresentati e altri no. Come ha scritto Massimo Villone, più che il Senato delle Autonomie sarà il “Senato dei localismi“.

Diversamente da quanto previsto dal ddl di riforma, si sarebbe potuto diminuire razionalmente – senza forzature demagogiche – e proporzionalmente il numero di deputati e senatori, con maggiori risparmi e migliore equilibrio tra le Camere, dando almeno ad ogni provincia italiana un rappresentante. Occasione persa.

5 commenti su “#BastaunSi? #MaAncheNO – Come sarà il nuovo Senato”

  1. SONO DECINE DI ANNI CHE SENTO CHE OCCORRE CAMBIARE………NESSUNO A PARTE I BLABLA, HA MAI FATTO UN CAZZO SE NO X I PROPRI INTERESSI………BENE……..IO COMUNISTA VOTERO’ SI’ ASSIEME AD UN MIO AMICO DI ESTREMA DESTRA (OGNUNO RISPETTA LE IDEE DELL’ALTRO) ANCHE SE A NESSUNO DEI DUE PIACE RENZI. CAZZO: NEL BENE O NEL MALE OCCORRE COMINCIARE A CAMBIARE………QUALUNQUE SIA IL RISULTATO…………IL SI’ E’ X I TANTI “OCCORRE” E NON FARE ALLA FINE UN CAZZO……..RIPETO: NEL BENE O NEL MALE. LE “INTELLIGENZE” QUESTO NON L’HANNO ANCORA CAPITO…ARGUTI

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