#Libri, #Pinocchio e la politica

Tutti conoscono la fiaba di Pinocchio, scritta da Collodi nel 1881 e considerata a pieno titolo come una delle più grandi opere della letteratura italiana e mondiale. Sarebbe un errore, infatti, considerare questo libro solo come un classico della letteratura per ragazzi, a causa dei molteplici e profondi significati sottesi al testo. Proprio come La Divina Commedia o I promessi sposi, Le avventure di Pinocchio sono diventate oggetto di molteplici interpretazioni (filosofiche, teologiche, psicologiche) ad attestare lo status del libro di Collodi come grande opera della letteratura universale. In questo articolo, vorrei invitarvi a rileggere la fiaba, magari come lettura per il Nuovo Anno, considerando però le interpretazioni politiche del testo, grazie alle quali scopriremo come la figura del celebre burattino è stata rielaborata e talora manipolata a seconda delle esigenze dei partiti o dei movimenti che hanno caratterizzato il Novecento.

Durante il fascismo, per esempio, Pinocchio fu raffigurato come un giovane balilla che si ribella e sfida Mangiafoco, simbolo dell’ideologia marxista. Nel secondo dopoguerra, Pinocchio incarnò anche la figura e le abitudini del giovane democristiano che combatte il comunismo con l’aiuto di una fatina dai capelli turchini la quale indossa abiti ispirati al tricolore italiano e tiene nella mano uno scudo crociato. L’interpretazione di un Pinocchio cattolico fu alimentata anche da alcune gerarchie ecclesiastiche le quali interpretarono l’impiccagione del burattino all’albero ad opera del Gatto e della Volpe e la sua risurrezione ad opera della Fatina come una rilettura della crocifissione di Cristo ad opera dei Romani e la sua risurrezione ad opera di Dio. In tale contesto, inoltre, la Fata turchina venne associata anche alla figura mariana, e Geppetto a quella del Padre Eterno. E ancora, il Grillo parlante divenne il simbolo della coscienza cristiana, mentre la Lumaca assunse le caratteristiche della Chiesa, quale struttura immutabile e imperturbabile (e aggiungeremmo noi lenta a recepire i cambiamenti della modernità).

Ma l’interpretazione più convincente è, secondo me, quella di Pinocchio come simbolo del proletariato che si ribella contro le ingiustizie del capitalismo e della borghesia. Nell’episodio in cui il burattino salta sul palco, raggiunge i suoi “compagni”, vale a dire le altre marionette, e capeggia la rivolta contro Mangiafoco, troviamo dei richiami molto forti all’ideologia marxista. Pinocchio è figlio di un falegname, proviene dal basso del corpo sociale, e, nel corso delle sue avventure, subisce le ingiustizie di personaggi che sono o legati al mondo del profitto (tra i quali Mangiafoco e l’Omino di Burro che adesca i ragazzi per portarli nel paese dei Balocchi e poi rivenderli come asini) o proiezioni di una giustizia che difende i ceti privilegiati e i malfattori a scapito degli ultimi e degli indifesi (come, ad esempio, il Giudice che, invece di far incarcerare chi aveva derubato Pinocchio, condanna alla prigione lo stesso burattino). Il campo dei Miracoli, dove il Gatto e la Volpe invitano Pinocchio a depositare le cinque monete d’oro con la promessa che al mattino si moltiplicheranno all’infinito, e lo stesso Paese dei Balocchi sono simboli di quella borghesia che pretende di guadagnare e lucrare senza lavorare.

Quello che voglio dire, dunque, è che se le interpretazioni fascista e cattolica di Pinocchio sono forzate, quella marxista, invece, è fondata perché si basa sui dei richiami che sono evidenti all’interno dell’opera, basti pensare al paesaggio sociale in cui cresce e si muove Pinocchio, paesaggio sociale che viene ben rappresentato, a mio giudizio, dal film indimenticabile di Comencini, dove troviamo un Pinocchio che si muove in uno scenario tipico del neorealismo e in ambienti sociali legati alla classe operaia e contadina.