Quando Monti diceva: “Berlusconi dovrebbe fare come Menem in Argentina”

monti menem berlusconi

Un Mario Monti che non ti aspetti. O meglio, te lo aspetteresti benissimo, se il mito di genio e infallibile interprete del mercato non avesse alimentato la sua nomina a premier tecnico e per oltre 13 mesi non si fosse messo a dispensare lezioncine su come gli altri fossero degli incapaci.

Così capita che mentre fai delle indagini negli archivi della Stampa, trovi un interessantissima intervista al Professore, datata 13 agosto 1994, sezione Politica ed Economia, a firma di Armando Zeni.

Interessante perché il trafiletto riassume bene il concetto di fondo dell’intervista: “Berlusconi dovrebbe fare come Menem in Argentina. Ha tradito le promesse che aveva fatto agli elettori ma a fin di bene“.

Della serie: il fine giustifica i mezzi. Ma il passo dell’intervista, abbastanza curioso, è questo: “Il governo aveva due strade. Quella tatcheriana della politica aspra e dura, annunciata e poi seguita. E quella del “consapevole” tradimento delle promesse elettorali del presidente argentino Menem: eletto su una piattaforma peronista, ha poi capito che era nell’interesse del paese fare una politica diversa, l’ha spiegato agli argentini, ha avuto in Cavallo un notevole ministro dell’economia e credo che oggi i suoi concittadini siano grati del tradimento.

Ora, forse non molti sanno chi sia Carlos Saúl Menem Akil, presidente dell’Argentina dall’8 luglio 1989 al 10 dicembre 1999. Ebbene, vi ricordate il crollo economico dell’Argentina? Ecco, è dovuto alla sua politica economica che auspicava Monti per l’Italia nel 1994.

Sotto la sua illuminata guida, il debito, l’inflazione, la crescita dei tassi di interesse, la disoccupazione e la forbice tra la minoranza ricca e la maggioranza povera del Paese raggiunsero traguardi inimmaginabili… prima del crollo, of course. Ah, giusto per la cronaca, Menem durante i suoi mandati fu anche inquisito per reati patrimoniali, ma se la cavò attraverso l’approvazione di leggi ad personam. Vi ricorda qualcuno?

Qui di seguito vi ripubblico l’intervista completa, sia mai che vi interessi.

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Professor Monti, l’inquietudine dei mercati è forte, la lira sprofonda nonostante l’intervento di Bankitalia. A chi parla di complotto contro la nostra moneta lei ha già risposto che la spiegazione è ahimè più grave e meno folcloristica. E’ sempre dello stesso parere, professore?

«Ma certo, soprattutto se per complotto si intende un disegno extra-economico portato avanti per ottenere un risultato politico, per indebolire il governo italiano. Semmai ci si trova di fronte ad autorevoli opinioni espresse nei mercati e nei bollettini delle principali banche d’investimento, tutte analisi che hanno un gran peso nel determinare i comportamenti degli operatori del mercato. Ma siamo nel campo dell’analisi economica e finanziaria, non del complotto politico».

Ammetterà che è una strana situazione: l’economia reale va meglio e la lira va a rotoli. 

«C’è effettivamente una spaccatura, quasi un’incomunicabilità tra un’economia reale in progresso, un governo che proclama di essere favorevole al mercato, un mercato finanziario che dimostra sfiducia verso il governo».

Il ministro del Tesoro dice che all’estero si sbagliano a essere scettici sulle prospettive dell’economia italiana. 

«Dini ha ragione quando sostiene che gli indicatori fondamentali reali sono buoni. Magari sarebbe più prudente, e più elegante, se il governo e non mi riferisco a Dini – non continuasse a dire che il miglioramento è già merito suo: può darsi che il clima di fiducia stabilito all’inizio abbia pesato ma queste cose dipendono soprattutto dalla congiuntura internazionale e un po’ anche dall’operato dei governi precedenti».

D’accordo. Ma come spiega il divario tra l’economia che va bene e la lira che va male senza ricorrere al complotto? 

«Innanzi tutto il governo sta dando ai mercati una percezione di squadra poco efficiente e poco coesa. Poi c’è il fattore al quale i mercati danno grande importanza: i numeri pesantissimi della finanza pubblica. In questo campo, dopo la cura da 93 mila miliardi di Amato e il trattamento più sobrio e diluito di Ciampi, ci si aspettava dal nuovo governo provvedimenti molto forti».

Si aspettava più rigore? 

«Speravo che Berlusconi dicesse agli italiani: dobbiamo rimediare a decenni di finanza sfasciata».

Invece? 

«Invece è stato presentato un documento di programmazione economica che è un po’ la continuazione della linea cauta e graduale del governo Ciampi con qualcosa in meno: meno indicazioni precise sugli interventi da fare. Peggio, si è deciso di riparlare a settembre di pensioni, l’intervento più doloroso ma da tutti considerato indispensabile, e nel frattempo sono emerse posizioni che non lasciano prevedere un accordo facile. Mi sembra che tutto questo spieghi bene l’inquietudine. Poi c’è il moltiplicatore psicologico».

Il moltiplicatore psicologico? 

«Noi commentatori, noi economisti soffiamo sul fuoco più di quanto abbiamo fatto in passato».

E’ quanto sostiene Berlusconi: abbiamo contro tutti, dice. Ecco il complotto? 

«Ma no, tutto è spiegabile: semplicemente, prima l’opposizione non aveva grande peso nei mercati. A destra c’èra l’msi considerato fuori dal sistema. A sinistra il Pds, e prima il Pci, la cui opinione aveva grande rilievo dal punto di vista sindacale ma non emozionava più di tanto i mercati per quanto riguardava la politica economica del governo. Oggi è diverso».

Diverso in che senso? 

«Oggi all’opposizione c’è un centro politico molto ascoltato dal mercato finanziario. E c’è una sinistra che ha fatto tali passi verso l’economia di mercato da essere ritenuta in grado di esprimere pareri dall’interno del sistema».

Lei ha ammesso che voi economisti eravate in imbarazzo a criticare un governo come quello presieduto da Ciampi. 

«Vero. Ricordo che nel luglio scorso, quando per primo osservai che in materia di finanza pubblica Ciampi aveva presentato un programma meno coraggioso di quello di Amato, fu per me un’intima sofferenza. Era mio dovere dirlo, per correttezza verso l’opinione pubblica. Ma mi
dispiaceva davvero criticare l’opera di un governo composto da economisti autorevoli e presieduto da chi aveva retto per anni la Banca d’Italia. Oggi, la gran parte degli economisti e dei commentatori vede il governo Berlusconi come qualcosa di totalmente estraneo al proprio mondo culturale e ambientale, qualcosa che si critica senza remore, anzi con piacere. Sia ben chiaro, il governo offre effettivamente il fianco a molte critiche. Ma penso che dovremmo fare uno sforzo d’obbiettività, distribuire critiche dove la nostra coscienza di tecnici lo ritiene giusto, il meno possibile sulla base di pregiudizi politici e culturali».

Torniamo alla tempesta sulla lira, professore. C’è chi ha contestato l’opportunità di rialzare il tasso di sconto. 

«Io concordo pienamente con la mossa di Fazio: con i mercati finanziari italiani nella situazione di questi giorni e nel momento in cui nel mondo torna a esserci qualche preoccupazione sull’inflazione, il governatore ha fatto bene. E poi va detto a chiare lettere che questo aumento ha un significato particolare perché è il primo deciso dal nuovo governatore dopo diversi ribassi. I mercati stavano a guardare se l’abilità dimostrata nel dosare le riduzioni, Fazio l’avrebbe avuta anche in un rialzo, operazione meno gradita al mondo politico e alle imprese».

Si continua con la politica monetaria al posto di quella economica, però. 

«Non si può tornare alle peggiori politiche di qualche anno fa di Bankitalia, all’imposizione di Vincoli sul portafoglio delle /banche o sui movimenti di capitale: lo impedisce il trattato di Maastricht. Se poi sarà necessaria una politica monetaria di tipo restrittivo non dipenderà dalla Banca d’Italia ma da quanto saprà fare il governo: se non lo farà, Bankitalia dovrà per forza intervenire».

Lei dice: i mercati si aspettano più rigore dal governo in materia di finanza pubblica. Converrà che non è facile per chi punta a un ampio consenso e bada ai sondaggi?

«Non sono un politico ma sono convinto che il governo troverebbe molta comprensione tra i cittadini se ci chiamasse a rimediare ai danni fatti da altri in passato. Se invece farà passare settimane e mesi e poi, costretto da una crisi ben più grave, chiederà grossi sacrifici, allora sì che la gente potrebbe dar colpa all’attuale governo».

Insomma, lei è convinto che sia stata una mossa sbagliata non aver usato i primi giorni di luna di miele per varare la parte più dura del programma economico? 

«Non c’è dubbio».

C’erano le promesse elettorali… 

«Il governo, alla sua nascita, aveva di fronte a sé due strade. Quella thatcheriana della politica aspra e dura, annunciata prima e poi seguita. E quella del consapevole “tradimento” delle promesse elettorali del presidente argentino Menem: eletto su una piattaforma peronista, ha poi capito che era nell’interesse del Paese fare una politica diversa, l’ha spiegato agli argentini, ha avuto in Cavallo un notevole ministro dell’economia e credo che oggi i suoi concittadini siano grati del “tradimento”».

E’ un suggerimento a Berlusconi per la finanziaria? 

«Mi auguro che per la finanziaria ci sia un ravvedimento “operoso” e incisivo nella maggioranza. Se avviati subito, due anni di duro risanamento sarebbero meno costosi, economicamente e politicamente, che se fossero rimandati».

Facile a dirsi, difficile a farsi. 

<<L’economia in ripresa rende meno pesante il risanamento sul piano economico e su quello politico la responsabilità ricadrebbe, come è giusto, sui governi del passato. E poi l’Europa sta riprendendo il cammino dell’integrazione: in due anni di duro risanamento l’Italia potrebbe davvero agganciarsi ed essere tra qualche anno un Paese forte. Forse nei sondaggi quotidiani dell’opinione pubblica queste cose non avranno peso. Ma non è da queste cose che dipende se un governo alla fine avrà successo o no e se una maggioranza sarà o no rieletta?».

30 commenti su “Quando Monti diceva: “Berlusconi dovrebbe fare come Menem in Argentina””

  1. penso che monti giochi sporco molto sporco e il suo governo ha distrutto la vita e il futuro di milioni di italiani…

  2. Chiedete a Bersani cosa ne pensa, così non fate l’errore di votare anche lui.

  3. In realtà Monti dice anche un sacco di altre cose, in quell’intervista. Poi, se fa comodo citarne una sola, beh, allora è un altro discorso.
    (Ah, lungi da me difendere Monti. Ma giornalismo e cronaca la si fa in modo corretto, se la si vuole fare).

  4. Però secondo me non ha detto una cosa sbagliata: “Più si aspetta e più i tagli saranno dolorosi”. Non è forse vero? è andata così.. Se la spesa pubblica fosse stata corretta e aggiustata all’epoca quando comunque non c’era la crisi mondiale che viviamo oggi forse adesso noi tutti staremmo meglio no? E non dico, dal mio punto di vista, tagliata sul sociale ma sempre nell’ottica di sistemare gli sprechi ( spese militari, consulenze esterne, stipendi dei top manager, pensioni d’oro, pensioni retribuitive etc etc )

  5. Come sarebbe a dire Epic Fail? Anche Berlusconi ha portato alla bancarotta l’Italia. Epic Win!

  6. due geni….. e son toccati a noi…… avremo mica due culi come le mortadelle ?

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