Nel nome di Gramsci

Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare

Settantacinque anni fa moriva Antonio Gramsci. Ucciso scientificamente dal regime fascista, che qualcuno ancora si ostina ad esaltare o, comunque, a sminuirne la ferocia. Volevano impedire al suo cervello di funzionare per vent’anni, non ci sono riusciti.

Già il 23 gennaio dell’anno scorso, in occasione del 120ennale della nascita, avevo proposto alcuni brani. Mi pare che ricordarlo con le sue parole sia il modo migliore per far capire, magari ai miei coetanei, chi sia stato Antonio Gramsci.

Il primo, scritto su “Passato e Presente”, è intitolato “I Costruttori di Soffitte”. Leggetelo. Lascio a voi i paragoni con il presente e il recente passato.

Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto.

Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza. È il solito rapporto tra il grande uomo e il cameriere.

Fare il deserto per emergere e distinguersi.

Una generazione vitale e forte, che si propone di lavorare e di affermarsi, tende invece a sopravalutare la generazione precedente perché la propria energia le dà la sicurezza che andrà anche più oltre; semplicemente vegetare è già superamento di ciò che è dipinto come morto.

Si rimprovera al passato di non aver compiuto il compito del presente: come sarebbe più comodo se i genitori avessero già fatto il lavoro dei figli. Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente: chissà cosa avremmo fatto noi se i nostri genitori avessero fatto questo e quest’altro… ma essi non l’hanno fatto e, quindi, noi non abbiamo fatto nulla di più.

Una soffitta su un pianterreno è meno soffitta di quella sul decimo o trentesimo piano? Una generazione che sa far solo soffitte si lamenta che i predecessori non abbiano già costruito palazzi di dieci o trenta piani. Dite di esser capaci di costruire cattedrali, ma non siete capaci che di costruire soffitte.”

Il secondo, invece, è datato 11 febbraio 1917, ed è l’oramai famosissimo (grazie a Luca e Paolo a Sanremo) articolo sugli Indifferenti:

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.”

Il terzo è tratto da una lettera di Gramsci alla madre, datata 10 maggio 1928

“Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione […] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini.”

Infine, un bellissimo appello rivolto ai giovani del tempo, ma che vale anche per noi di oggi:

Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo.
Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza.
Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.

Un paio di mesi fa Saviano ha stigmatizzato la Sinistra violenta di Gramsci e ha elogiato quella di Turati.