Craxi: Un politico corrotto morto latitante

Lo Statista. L’esule. Il perseguitato. Tre definizioni di Benedetto Craxi, al secolo Bettino, che fanno a pugni con la realtà dei fatti e con la verità. Eppure nel paese del bunga bunga sono diventate conclamate verità per la maggioranza di quel sistema politico italiano retto sul privilegio e sull’ingiustizia, che recupera la figura del satrapo garofanato solo per assicurare a se stesso quell’impunità che da 15 anni ricerca spasmodicamente.

Perché se in Italia le parole avessero un senso (e soprattutto la storia e le sentenze della magistratura), Bettino Craxi sarebbe semplicemente, nell’ordine: l’assassino del Partito Socialista Italiano, un politico corrotto e, soprattutto, un latitante. Oltre ad aver plasmato quella cultura politica su cui si basa l’attuale Berlusconismo e che tanti guasti e mali ha provocato all’Italia.

In un Paese serio, a chiudere la questione Bettino basterebbero le 3 sentenze definitive emesse dalla Cassazione (10 anni per le tangenti Eni-Sai e la Metropolitana Milanese; prescrizione per le mazzette dalla berlusconiana All Iberian). O i 40 miliardi giacenti sui suoi 3 conti svizzeri personali, gestiti non da tesorieri PSI, ma dall’ex compagno di scuola Giorgio Tradati e poi dall’ex-barista Maurizio Raggio, destinati agli “interessi economici anzitutto propri di Craxi” (Sentenza All Iberian).

Senza contare quella ventina d’anni accumulati tra primo e secondo grado e l’attività di spionaggio condotta contro Enrico Berlinguer e i vertici del PCI, nella speranza di poterlo infangare (ma il suo odio per Berlinguer non riuscirono a produrre gli effetti sperati: la vita privata di Enrico era più candida dell’anima di un bambino).

Molti, oggi, come Berlusconi, dicono che “Craxi non può essere ridotto ai suoi guai giudiziari.” Infatti ci sono pure quelli politici, purtroppo.

Per quanto riguarda l’economia, sotto i governi Craxi, infatti, (1983-1987) il debito pubblico balza da 400mila a 1 milione di miliardi di lire; il rapporto debito-Pil dal 70 al 92%. Non male per uno che, a dire della figlia, combatteva il partito della spesa dei comunisti (mai stati al governo).

Dopodiché, negli anni dei governi successivi (Goria, De Mita, Andreotti), il rapporto debito /Pil balza ulteriormente dal 92 al 118%, che è il valore che ha praticamente oggi, perché, a parte le virtuose parentesi Ciampi e Padoa-Schioppa, l’economia italiana è finita nelle mani degli stessi che collaboravano con Craxi ai tempi in cui veniva scavato il grande buco del debito pubblico (Tremonti, Brunetta, Sacconi, consulenti economici di Craxi e De Michelis).

Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, Bettino Craxi fu l’unico leader della Prima Repubblica a caldeggiare la trattativa tra Stato e Br durante il sequestro Moro; nel 1985 sottrae al blitz americano di Sigonella i terroristi palestinesi che hanno appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un turista ebreo disabile; sebbene si impegni pubblicamente a farli processare in Italia, poi fa caricare il loro capo Abu Abbas su un aereo dei servizi e lo spedisce in Iraq, come gradito omaggio a Saddam Hussein.

Questo episodio rimarca un altro tratto della politica craxiana, ancora più filoaraba in politica estera di quanto non fossero già stati i dc: appoggia acriticamente l’Olp, ben lontana dalla svolta moderata, paragonando Arafat a Mazzini; spalleggia e foraggia il dittatore sanguinario somale Siad Barre; nel 1982, durante la crisi delle Falkland, si schiera addirittura con i generali argentini contro la Gran Bretagna.

Ma Craxi è anche il primo picconatore della Costituzione in vista di quella grande riforma presidenzialista (leit motiv di tutta la Seconda Repubblica), oltre a voler assoggettare, dopo lo scandalo P2, i pm sotto il potere dell’esecutivo. Così come è il primo ad introdurre nel linguaggio politico i termini “giustizialismo”, “circolo mediatico-giudiziario” e “toghe rosse”, tanto da far diventare un sinonimo di reazionario, nazionalista e conservatore come è il termine giustizialista nel contrario di garantismo.

Ed è, soprattutto, l’artefice di quella deriva culturale che ha il suo epicentro nel monopolio televisivo incostituzionale, legittimato con la legge Mammì, di Silvio Berlusconi (che tra l’altro, come ha dimostrato il processo All-Iberian, pagò la più alta tangente di sempre, pari a 21 miliardi di lire).

Note le sue frequentazioni: dopo aver commentato a denti stretti, dopo l’elezione a Capo dello Stato di Sandro Pertini, “la prossima volta eleggeremo un socialista”, il satrapo garofanato allontana tutti quelli che si oppongono al suo autoritarismo partitico (Bobbio, Bassanini, Codignola, Enriquez, Agnolotti, Leon e Veltri), e si circonda dei famosi nani e ballerine (copyright Rino Formica) che poi trasformeranno il PSI in quel comitato d’affari dove non transitavano più ideali, ma solo tangenti.

Si fece anche l’amante, tale Anja Pieroni, a cui regalò una stazione televisiva (Roma Cine Tivù), pagandola 100 milioni di lire al mese, una casa (con tanto di servitù, autista e segretaria) e un albergo (hotel Ivanohe) a Roma; fece varie operazioni immobiliari (appartamento a New York, due case a Milano, una a Madonna di Campiglio, una a La Thuile, oltre ad Hammamet); si comprò un Sitation (aereo) del costo di 1 milione e mezzo di dollari (3 miliardi di lire); regalò 500 milioni al fratello Antonio, seguace del guru Sai Baba in India; pagò la bellezza di 80 milioni di lire nel 1994 per affittare una casa al figlio Bobo a Saint Tropez, per allontanarlo dal clima politico poco favorevole che c’era a Milano.

Non male per uno Statista, oltreché per un Socialista.

Forse ha ragione qualcuno, quando dice che la Questione Morale sollevata da Berlinguer fu tardiva e velleitaria (ma così non fu). Di una cosa sono certo, però: il “pragmatismo affaristico” di Craxi rimane una vergogna per tutti i socialisti che lo erano veramente e che da quel partito di “nani e ballerine” (riedificatosi in Forza Italia) sono stati cacciati.

E questo è qualcosa che, nemmeno i revisionisti più fantasiosi, possono cambiare.

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