Per l’analisi dei flussi elettorali è troppo presto, ma a “occhio nudo” il dato delle regionali 2025 è tragico, benché tutti festeggino come se andasse tutto bene. Oramai il “partito degli astensionisti” in Italia è da tempo il primo partito in Italia. Questo inficia completamente ogni retorica sulla vittoria, sui grandi risultati, sui trend elettorali.
Basta dare uno sguardo allo storico delle elezioni regionali degli ultimi quindici anni:
| 2025 | 2020 | 2015 | 2010 | |
| Campania | 44,10% | 55,52% | 51,93% | 62,97% |
| Puglia | 41,83% | 56,43% | 51,16% | 63,19% |
| Veneto | 44,65% | 61,16% | 57,16 % | 66,42% |
| Toscana | 47,73% | 62,60% | 48,28% | 60,71% |
| Marche | 50,01% | 59,75% | 49,78% | 62,77% |
| Calabria | 43,15% | 44,33% 44,36% (2021) | 44,08% (2014) | 59,27% |
Concentrandosi sulle prime tre al voto domenica e lunedì, c’è ben poco da ridere un po’ dovunque. Rispetto a cinque anni fa, quando si votava in piena pandemia, il calo è drammatico: -11,42% in Campania, -14,6% in Puglia, – 16,51% in Veneto.
L’unica che può festeggiare: Elly Schlein
Il dato maggiormente evidente, per quanto riguarda le dinamiche del centrosinistra, è che il M5S quando è da solo prende più voti che quando è in coalizione.
In Campania i 5 stelle prendevano 255.714 voti, pari al 9,93%, oggi perdono 70mila voti (restando al 9,12%), pur esprimendo il candidato presidente. Il centrosinistra vinceva con 1,789.017 voti (pari al 69,48%), oggi alle regionali 2025 vince con 1.286.188 voti (60,63%).
In Puglia il partito di Conte si candidava in coalizione con la lista civica della candidata presidente e prendeva 165.243 voti (9,86%), ieri ne ha persi 70mila (95.963 voti pari al 7,22%).
Anche in Veneto, dove il centrosinistra passa dai 385.768 voti del 2020 ai 543.278 di questa tornata, il M5S perde voti, quasi dimezzando il consenso: passa da 79.662 (3,25%) a 36.866 (2,20%).
Il M5S catalizzava una parte di elettorato, in gran parte di centrosinistra, deluso dalla classe dirigente DS-Margherita poi confluita nel PD che aveva fatto carta straccia della questione morale e aveva rinnegato le sue radici. Il degrado della politica italiana era tale che bastava che uno fosse (o si proclamasse) onesto per essere anche capace politicamente. Ovviamente si è visto che così non è, serve anche altro, perché politici e amministratori non ci si improvvisa.
L’unico partito che ci guadagna del campo largo è il Partito Democratico di Elly Schlein, che perde 20mila voti in termini assoluti solo in Campania (con buona pace dei “riformisti” del PD che vorrebbero mandarla a casa). Alleanza Verdi e Sinistra riesce nell’impresa di restare fuori dal Consiglio Regionale in Puglia, perdendo 9mila voti (fortuna che Vendola doveva fare da traino).
Non parliamo poi dei vari gruppuscoli oramai condannati all’irrilevanza di “sinistra”: a differenza del M5S, non sono mai riusciti a intercettare gli anti-sistema.
Il vero problema: la legge elettorale delle Regioni
Al di là dell’oramai congenita “disaffezione” alla politica, che ha a che fare principalmente con l’incapacità dei partiti di stare sui territori “dando l’esempio”, il vero problema è anche la legge elettorale delle Regioni, che andrebbe completamente rivista.
La famosa legge Tatarella, varata in modo bipartisan nel 1995 in fretta e furia a 2 mesi dalle elezioni regionali, è un porcellum che distorce completamente la rappresentatività, dato che ovviamente premia i due schieramenti maggiori. Sarebbe ora di cambiarla, introducendo almeno il ballottaggio obbligatorio, oltre a garantire una quota di sbarramento più bassa.
Il partito degli astensionisti però non esiste
Benché la formula sia parecchio evocativa, parlare di “partito degli astensionisti” è tecnicamente sbagliato, e anche fuorviante. Perché? Perché sottende che coloro che non votano abbiano una propria compattezza interna, interessi comuni e la capacità di formulare proposte coerenti, analoghe a quelle dei partiti che concorrono – con simboli, liste e candidati – alle elezioni.
Gli astensionisti invece sono la categoria più mutevole e con interessi politicamente distanti che ci sia, perché colpisce oramai entrambi gli schieramenti principali e non è detto che chi oggi si è astenuto alle regionali lo abbia fatto alle politiche o alle europee o alle comunali. Le ragioni per cui ci si astiene sono molteplici. Anche perché c’è chi magari si presenta all’urna ma lascia la scheda in bianco, o vanno al seggio e fanno mettere a verbale che annullano la propria scheda.
Cosa ci insegna il voto a New York
Che fare, quindi? La partecipazione al voto aumenta quando gli elettori si sentono coinvolti in un progetto, in un’idea (di comune, di regione, di paese). Questo è dimostrato anche dal voto newyorkese che ha segnato il record di partecipazione nel paese, gli USA, dove l’astensionismo è un dato strutturale da decenni a causa del sistema elettorale altamente distorsivo della rappresentatività, cui si aggiunge l’obbligo di registrarsi per votare.
Con buona pace dei “riformisti” (ma de che? Sono reazionari), se si vuole recuperare le persone al voto in primis non bisogna ricordarsi di loro solo in campagna elettorale, in secondo luogo c’è bisogno di coinvolgersi su un progetto di Paese diverso. Non normale, diverso.
Se si continua a proporre aggiustamenti marginali della realtà esistente, il rischio che sta per diventare realtà è che una minoranza prenderà sempre più le decisioni per tutti, la democrazia diventerà sempre più apparente e a comandare saranno sempre gli stessi. Come poi accade con i Mr preferenze nelle elezioni comunali e regionali.