Jorge Amado: la cultura che terrorizza i dittatori

Cento anni fa nasceva Jorge Amado, un comunista militante (membro e poi deputato per il PCB, oggi Partito Popolare Socialista) e un autore sovversivo, caratteristiche che gli costarono più volte l’esilio. Ma anche il carcere, come nel 1937, quando, ancora in cella, venne informato del rogo dei suoi libri nella pubblica piazza. Cosa faceva così paura dei libri di Amado al neodittatore Vargas, un timore che tra l’altro condivideva con i nazisti, con Mao e il primo imperatore cinese (che seppelliva vivi gli intellettuali, per non farsi mancar nulla), con Santa Romana Chiesa e l’Impero RomanoA spaventare il tiranno, più dello scrittore, è il lettore, colui che attraverso la cultura prende coscienza di sé: è quello che racconta anche Ray Bradbury (scomparso quest’anno) in Fahrenheit 451, romanzo fantascientifico in cui in un’ipotetica società futura (quella del 1960 per lo scrittore) possedere libri è un reato

Ecco perché un libro è un fucile carico, nella casa del tuo vicino. Diamolo alle fiamme! Rendiamo inutile l’arma. Castriamo la mente dell’uomo.

Amado aveva il difetto, in un Brasile e in un intero continente infestato da dittature fasciste e militari, di scrivere storie di marinai, di braccianti ridotti in schiavitù, di donne di strada, prima con un realismo e uno stile diretto e tagliente, poi, allontanatosi dalla militanza politica (ma certo non dall’ideale), con inimitabile ironia.

La memoria storica e l’intelligenza non sono caratteristiche tipiche dei dittatori: è il motivo per cui le opere, comprese quelle di Amado, non scompaiono dalla faccia della Terra solo perché si fa un bel falò. Ma è anche vero che se nel corso di un secolo possono accadere davvero molte cose, le società, dall’altra parte, si trasformano molto più lentamente, (e le teste vuote sembrano non riempirsi mai) così che il suo Brasile per certi versi non è affatto cambiato, ad alcuni di noi viene nostalgia dei tempi crapa pelata e in Grecia il 7% dei votanti ha dimenticato i colonnelli ad appena 40 anni dalla fine della dittatura.

Non credo più nella scusa del sentirsi orfani di leader e grandi intellettuali, nella giustificazione all’inerzia popolare del si stava meglio quando si stava peggio. I leader carismatici e gli scrittori impegnati non hanno vita eterna, se però non hanno nemmeno un popolo acculturato a sostegno, che esistano o meno diventa addirittura irrilevante. Per questo motivo, perché fossimo pronti e combattivi, perché imparassimo a costruire da soli il nostro futuro, per non rimanere schiavi dei nuovi dittatori, Jorge Amado ci ha lasciato un importante principio di militanza politica

Io dico no quando tutti, in coro, dicono sì. Questo è il mio impegno.

E se penso a come ho onorato finora quest’impegno, devo ammettere di non sentirmi per niente a posto con la coscienza….