«La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile». (Alberto Moravia, tratto dal saggio pubblicato nei due romanzi di Pier Paolo Pasolini Ragazzi di vita e Una vita violenta editi da Garzanti nella collana “I Grandi Libri”.)
Pier Paolo Pasolini veniva ucciso il 2 novembre 1975, all’età di 53 anni. La sua morte è uno dei tanti misteri d’Italia, su cui chissà quando e se avremo mai piena giustizia. Fu uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento, anche se in vita fu ampiamente osteggiato, calunniato, combattuto. Non c’è un aggettivo univoco per definirlo, anche la parola “intellettuale”, considerato l’uso che se ne fa anche oggi, risulta riduttiva. Forse “artista” descrive meglio il suo essere “multiforme”, come l’Ulisse dell’Odissea. Ma rischia di essere anche quella insufficiente. Sul suo passaporto, molto umilmente, faceva scrivere solo “scrittore“.
Il suo omicidio fu una messinscena e il processo che ne scaturì fu una farsa, una delle tante della storia d’Italia. Nessuna verità giudiziaria, quindi nessuna vera giustizia. Anche se il motivo per cui fu ucciso si conosce perfettamente, benché sempre sussurrato, preceduto dai “probabilmente”: Pasolini fu ammazzato perché era troppo vicino a denudare quel potere osceno, cioè quello che sta dietro la scena, e che nel suo ultimo film tratteggiò in maniera cruda, violenta, scandalosamente autentica.
Come sempre accade in Italia, da morto il veleno di certe parole uscite dalla penna dei “grandi intellettuali”, quelli ossequiosi nei confronti del Potere, si è trasformato in un fiume di lacrime: da pervertito e pederasta era diventato anche per loro un poeta.
Una volta scrisse che la sua indipendenza, che era la sua forza, implicava la sua solitudine, che era la sua debolezza. Pare sia questo il prezzo da pagare per chi decide di non adeguarsi, di vivere controcorrente, di non accettare mai compromessi con la propria coscienza.
La normalizzazione di Pier Paolo Pasolini
Il torto più grande che subì Pier Paolo Pasolini dopo la sua morte, tuttavia, non fu la mancata verità e giustizia, ma la sua trasformazione in un’icona, buona per tutte le stagioni ma soprattutto per tutte le idee politiche. Il suo lato anticonformista e scandaloso venne sistematicamente rimosso nelle celebrazioni ufficiali, per renderlo così “commestibile” a chiunque. Ogni tanto, quelli di destra lo citano a casaccio per attaccare i giovani di sinistra che manifestano, travisando completamente le sue parole. Si tratta degli eredi delle stesse persone che lo avversarono in vita.
D’altronde, sulla Destra italiana Pasolini aveva già detto tutto quello che si potrebbe (e dovrebbe) dire anche oggi. L’articolo era intitolato “gli Italiani non sono più quelli” e Pasolini parlava di mutazione antropologica degli Italiani a causa dell’omologazione di massa imposta dal nuovo “Potere”. Sulla Destra scriveva:
L’Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. È questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L’Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto solo esprimere quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo.
Militante, ma senza tessera
Nella sua ultima intervista, alla domanda “perché non è più militante?“, rispose:
Lo sono più che mai. Non sono mai stato iscritto a un partito politico, mi sento un indipendente di sinistra, ma continuo a militare più che mai.
La sua vita fu anzitutto un esempio di come si potesse spiccare il volo per immaginare un mondo diverso, facendo politica, quindi occuparsi degli altri, pur senza avere una tessera di partito in tasca. Se vogliamo veramente ricordarlo, rendiamo le nostre vite militanti. E smettiamo di dipingerlo come un santino innocuo.