Quattro luoghi comuni da sfatare sulle #coop

Se cercate “coop rosse” sul web, sarete probabilmente bombardati da titoloni roboanti di ogni tipo. Cose come “Coop rosse, cuore nero” (beppegrillo.it), “Coop rosse, a rischio 9 miliardi di prestito sociale” (Il Giornale) o l’immancabile “Falce e carrello”, libro-denuncia del defunto patron di Esselunga Bernardo Caprotti. Un fuoco d’artiglieria che ormai ha contagiato anche il sentire comune, tanto che ormai l’espressione “coop rosse” porta con sé un che di sinistro (non solo in senso politico). Ma davvero le coop sono così marce? Potremmo scoprire infatti qualcosa di diverso, per esempio che non esistono solo quelle rosse, ma anche le bianche e le verdi. Di questo però parleremo più avanti.

Innanzitutto cosa sono le cooperative? Imprese a tutti gli effetti, ma di tipo radicalmente diverso rispetto a quelle tradizionali (o capitalistiche). Esse nacquero nella metà dell’Ottocento in Gran Bretagna e da lì si diffusero in tutto il mondo. Si basano su un principio molto semplice: l’azienda è dei lavoratori. Essi sono anche soci, hanno la stessa voce in capitolo nella gestione e si dividono tra loro i profitti. Esistono però anche cooperative di inquilini, di consumatori e così via: la regola generale è che in una coop i soci lavorano per procurare vantaggi gli uni agli altri. Come fa allora un modello fondato sulla democrazia e sull’eguaglianza ad avere una fama così cattiva? È presto detto: accade soprattutto per colpa di pregiudizi ingiustificati. Vediamo i principali.

Le coop rubano e sfruttano. È vero, una parte di esse ha tradito i propri ideali. Alcune vengono rovinate da manager irresponsabili, altre invece sono fondate da padroni senza scrupoli che nascondono realtà di soprusi ed evasione fiscale. Giustissimo denunciare che oltre 120mila lavoratori sono sfruttati dalle false coop, ma allora bisogna anche parlare del fatto che tutte le altre, quelle sane, danno lavoro a più di un milione di persone. E queste ultime hanno tutto l’interesse a combattere le false coop, che fanno concorrenza sleale ad esse: si stima che ogni cooperativa disonesta danneggi 4000 concorrenti pulite. I media in tutto questo hanno una forte responsabilità; come al solito, un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce.

Le coop sono raccomandate dai politici. Le imprese cooperative nacquero dall’associazione spontanea di lavoratori che volevano liberarsi dallo sfruttamento del capitalismo. Da sempre dunque la cooperazione ha un forte contenuto politico. Per questo esistono coop rosse, bianche e verdi: le prime di ispirazione socialista e comunista, le seconde cattoliche e le terze liberali e mazziniane. Dunque è normale che le coop abbiano legami con partiti e rappresentanti del mondo politico: ciascuna di esse si propone di portare avanti specifici valori. Non c’è niente di illegale in questo, così come non è reato finanziare un partito, purché lo si faccia con trasparenza. Se invece un politico viene pagato allo scopo specifico di ottenere favori, quella è corruzione. Ma questo è un altro paio di maniche, per il quale si rimanda al punto precedente.

Le coop funzionano solo se sono piccole. Tutt’altro! Ne esistono di ogni genere e operano nei settori più svariati, dall’agricoltura all’hi-tech fino alla finanza. Esattamente come ogni altra impresa, una coop può avere qualsiasi dimensione. Alcuni esempi? La Mondragon, uno dei dieci gruppi industriali più grandi della Spagna, che rappresenta un modello alternativo di multinazionale: anziché subappaltare la produzione ad aziende locali di cui non sa nulla, crea nuove coop in ogni Paese in cui lavora, per creare sviluppo e radicamento sul territorio. La Huawei, pur non essendo formalmente una coop, appartiene di fatto ai suoi lavoratori, che ne detengono il 98,5% delle azioni. Potremmo continuare a lungo citando Raiffeisen, Valfrutta, Bontempi, Granarolo e molte altre imprese.

Nelle coop tutti fanno ciò che vogliono, non può funzionare. Non è vero e non sarebbe neanche concretamente possibile: come in una comunità si eleggono dei rappresentanti, così anche in una coop. I soci si riuniscono in assemblea periodicamente per prendere decisioni particolarmente importanti, discutere la strategia generale dell’azienda e votare il bilancio. Ma soprattutto eleggono gli amministratori, che sono incaricati di attuare nelle faccende quotidiane la “linea” stabilita dall’assemblea. La differenza con le imprese capitalistiche è grande, ma non significa che tutti possano fare i loro comodi. Del resto non è così che funziona la democrazia.

Indubbiamente il settore cooperativo va riformato (profondamente, almeno per quanto riguarda l’Italia), ma non gettiamo via il bambino con l’acqua sporca. Un sistema economico egemonizzato dalle cooperative garantirebbe addirittura enormi vantaggi rispetto a quello attuale. Nei prossimi giorni spiegheremo perché.

14 commenti su “Quattro luoghi comuni da sfatare sulle #coop”

  1. Salve, lavoro in una coop rossa da 30 anni per scelta, pur avendo la possibilità di accesso a concorsi pubblici. Ho passato 18 dei 30 anni in consiglio di amministrazione.Credo che affermazioni del genere “sono tutte da buttare” siano estremamente riduttive, evidentemente orientate alla creazione di un “fronte nemico”, così come è stato fatto a livello politico negli utlimi 20 anni. Sicuramente la cooperazione non è esente dal malcostume, i fatti lo dimostrano chiaramente, ma non deve in alcun modo essere demonizzata in quanto cooperazione. Rimane, al tempo della crisi, una realtà imprenditoriale che tiene il confronto con le difficoltà generali, scegliendo casomai di ridurre i profitti (che sono comunque patrimonio sociale reinvestito), cercando nelle alternative organizzative il contenimento dei costi – nel pieno rispetto dei contratti collettivi – prima di intervenire a scapito dei soci-lavoratori.

  2. Non ho alcuna intenzione di demonizzare la cooperazione, la comunità, la consorzialita’, l’unità. Condivido il contenuto dell’articolo che dice tutt’altro. Dice, a mio parere, che il sacro principio del cooperativismo è saltato e si è trasformato in sfruttamento dei lavoratori, dei giovani a cui vengono cambiate le qualifiche per pagarli meno, appalti al ribasso con quello che comporta… Comunque ritengo che questi argomenti non possono essere approfonditi su Facebook perché Facebook è tutt’altro che profonda…ma anche questa è una affermazione generica e quindi non può tenere presente le eccezioni che ovviamente ci sono, sempre e comunque

    • Comprendo le perplessità, gli appalti al ribasso sono uno scempio, ma non responsabilità della cooperazione, che cerca in ogni modo di contrastarli. Le qualifiche dei lavoratori seguono regole precise, contrattuali “in primis” e relative ai capitolati “in secundis” mai arbitrarie però. Ma forse questa è la mia esperienza. Sono d’accordo sulla profondità della piattaforma. Parliamone se possiamo.

    • Da questo piccolo scambio confermo che ho l’impressione di aver trovato “profondita’ su Facebook e questo conferma che le eccezioni ci sono! Ti ringrazio, sono convinto che parlandone e lottando insieme le cose si possono ancora cambiare…proviamoci e se passi a Fossombrone o limitrofi ci sono. Saluti

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