#Libri, perché ci piace così tanto il giallo?

Nell’articolo di oggi, vorrei spiegarvi i motivi per i quali consiglio sempre di leggere dei polizieschi o dei noir. Si tratta di due generi appassionanti, che catturano l’attenzione del lettore e che provocano forti emozioni, tanto che, negli ultimi tempi, il poliziesco o giallo o thriller si è affermato come il genere più letto nel mondo. Ma quali sono le ragioni di tale successo?

Il poliziesco, soprattutto nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, cambia radicalmente il proprio statuto. Se, nella seconda metà dell’Ottocento, il genere nasce come letteratura d’evasione, prodotto basso, commerciale e consumistico, a partire dagli anni cinquanta del Novecento, invece, esso si afferma come l’erede più incisivo dell’engagement (cioè della letteratura impegnata) deputato alla riflessione filosofica e alla messinscena della natura umana e dei suoi orrori, della società e delle sue lotte, della politica e dei suoi intrighi. Il primo rappresentante del genere, così rinnovato, può essere considerato lo scrittore francese André Héléna che, nel 1949, pubblica il suo primo romanzo, Gli sbirri hanno sempre ragione dove l’autore denuncia in modo crudo i metodi violenti utilizzati dalla polizia contro i detenuti come le manganellate, le torture, gli abusi di cui lui stesso era stato testimone nei sei mesi passati in prigione per debiti.

Il giallo esalta soprattutto l’immaginario della prigione o del delitto commesso in una stanza chiusa dall’interno a cui non c’è in apparenza alcuna via d’accesso. È un genere, cioè, in cui vengono privilegiati gli spazi chiusi, claustrofobici. Per quale motivo? Possiamo individuare almeno tre spiegazioni, una di carattere funzionale, una di carattere simbolico e l’altra di carattere psicologico.

Il noir e il giallo, assumono spesso, come ribadisce Guido Vitiello nel saggio La commedia dell’innocenza. Una congettura sulla detective story (2008) le caratteristiche di un gioco enigmistico, di una sfida che l’autore ingaggia con il lettore e il criminale con il detective, e di conseguenza tale gioco impone che il rompicapo abbia un numero limitato di pezzi, noti a entrambi gli sfidanti. Di qui la predilezione per gli spazi chiusi che rendono la sfida ancora più complicata. Luoghi come le carceri, i manieri, le canoniche o le biblioteche garantiscono le stesse condizioni di isolamento di un esperimento chimico, dove tutte le tessere del puzzle sono note e inventariate. Tali spazi sono dunque funzionali al genere perché ne descrivono la natura e contribuiscono alla sua riuscita. Il lettore si sente interessato, coinvolto e motivato dalla sfida che gli viene proposta ovvero capire come può avvenire l’evasione da un carcere di massima sicurezza dove le porte sono bloccate o come si è potuto realizzare un delitto in una camera doppiamente inaccessibile, perché situata all’interno di uno spazio già chiuso e delimitato.

Ma il noir non è solo un gioco enigmistico. È anche, come già suggeriva il critico letterario canadese Northrop Frye a proposito del giallo, un dramma rituale intorno a un cadavere, una sorta di rito profano in cui il supremo officiante, il detective, libera una comunità, spesso sconvolta da una serie di omicidi brutali, dal contagio che lo spargimento del sangue ha diffuso al suo interno, trasformando tutti i suoi membri in sospetti e quindi in potenziali assassini. In questa luce, la predilezione del genere per i luoghi chiusi e gotici come le chiese, le cripte, le celle sotterranee, assume un significato simbolico, rituale e catartico. Si tratta della delimitazione di uno spazio sacro che rappresenta una sorta di cerchio magico entro il quale si concentrano e raccolgono le potenze maligne o demoniache che il rito deve espellere. Spesso all’interno di questo santuario del male, si nasconde la camera chiusa, il luogo inviolabile dove si è consumato il delitto o dove si è realizzato lo stupro, il vaso di Pandora, come lo definisce Vitiello, dal quale il male si è generato e diffuso nella comunità.

Il noir esalta, infine, le pulsioni distruttive dell’individuo e lascia intravedere l’animale brutale che si annida in ciascuno di noi. Si tratta di un genere inquietante che descrive lo scoppio di aggressività e di rabbia che conduce un soggetto, spesso all’apparenza “normale”, a compiere atti orribili, a dilaniare corpi, a stuprare o a torturare. La prigione e la camera chiusa si configurano, come dimostrano le diverse teorie sull’aggressività, come i luoghi psicologici ideali al fine di far emergere gli istinti e il sadismo repressi dell’uomo, e il noir non può fare a meno di servirsi di questi spazi o di rimanerne affascinato.