La scorsa settimana si è discusso molto dei tassi vertiginosi di astensionismo alle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria. Adesso proviamo ad allargare la visuale da queste due regioni a tutta l’Italia. Fatto? Bene, ora inquadriamo l’intera Europa. L’immagine che ne viene fuori è quella di un insieme di paesi uniti sotto la stessa bandiera, ma in precario equilibrio. Non serve ribadire che le destre populiste stiano conquistando sempre più consensi: il Front National e l’Ukip sono solo i due più conosciuti e, tutto sommato, i meno virulenti se consideriamo che in Ungheria si è affermato lo Jobbik, che ha molti tratti in comune – ed è inquietante – con il neonazismo. Ne abbiamo abbastanza per chiederci se non sia in crisi la democrazia stessa. In Italia attualmente non è tanto preoccupante il rischio che gli estremisti vadano al governo (riuscite ad immaginare Forza Nuova al 40%?), ma proprio il disinteresse nei confronti del dovere civico di votare. E diciamolo senza peli sulla lingua: una democrazia in cui la maggioranza si rifiuta di partecipare è mutilata.
Forse potrà stare bene agli americani, che guardano dall’alto al basso le nostre difficoltà. Fa niente se lì lobby e corporation spadroneggiano, se in nome di questa strana idea sia giusto sostituire Salvador Allende con il più moderato e costituzionale Augusto Pinochet. Fa niente se il Black Friday tutti i malumori si porta via, anche se qualche giorno prima un poliziotto ha freddato un ragazzino con una pistola giocattolo e un altro suo degno collega non viene incriminato per aver ammazzato un diciottenne (tutte di colore, le vittime. Diamine, che coincidenza!). Noi vogliamo qualcosa di più.
Ma come pensare una nuova democrazia? Oggi, da cittadini attivi e responsabili, siamo chiamati a partecipare. Le circostanze ce lo chiedono: il web ha aperto all’uomo enormi potenzialità, che la politica sta scoprendo solamente negli ultimi anni. Solo da poco i partiti utilizzano i social network come enormi piazze per la propaganda elettorale e nel frattempo sono nate importanti esperienze di e-democracy. LiquidFeedback, un software che si occupa di permettere a comunità di elettori-internauti la formulazione di proposte di legge, è uno dei cavalli di battaglia del Partito Pirata, che in Repubblica Ceca e Lussemburgo viaggia sopra il 4%, mentre in Germania la Spd si serve della piattaforma Adhocracy per scopi simili.
In Italia il concetto di democrazia diretta, legato solitamente al Movimento Cinque Stelle, ha avuto per la verità altre applicazioni. A giugno 2013 è partito in via sperimentale TuParlamento, un sito di consultazione su iniziativa di alcuni parlamentari appartenenti a Pd, Scelta Civica e Sel. Il potere della Rete tanto decantato da Grillo, però, si trasforma nel suo caso in una pilatocrazia: gli imputati esposti inermi alle folle, i processi molto sbrigativi e infine le crocifissioni sul Golgota dell’onnipresente blog. Non è questa la democrazia diretta.
Il partito del futuro dovrebbe essere flessibile, aperto ai movimenti e radicato nel territorio, non una macchina elettorale da mettere in moto solo agli appuntamenti elettorali. Deve responsabilizzare i cittadini chiedendo la loro collaborazione nella stesura dei programmi, utilizzando mezzi come la raccolta fondi (preferibilmente non tramite cene da mille euro a persona), la spesa sociale e strumenti di governo come il bilancio partecipativo e i comitati cittadini. La democrazia diretta potrà trovare anche applicazioni in politica nazionale. Prima di tutto con il voto online, che in altri Paesi è già una realtà. Inoltre sarebbe un’ipotesi suggestiva rafforzare elementi come il referendum e le leggi di iniziativa popolare. Il modello svizzero, in cui i cittadini hanno potenti strumenti per intervenire sui temi più importanti del dibattito politico, può essere considerato (con i dovuti adattamenti) una base interessante per immaginare un’evoluzione della democrazia verso una sintesi tra parlamentarismo e democrazia diretta. Certo, ciò richiederebbe una grande coscienza civica e un forte senso critico, due virtù che farebbero un gran bene anche all’Italia di oggi per fermare il populismo del pilatocratico Grillo e del villoso Salvini. E per allontanare lo spettro di quelle percentuali con cui il Partito degli Astenuti ha stravinto in Emilia Romagna e Calabria.