I romanzi di Léo Malet, autore francese che si è dedicato soprattutto al genere del poliziesco e del noir, ci offrono una riflessione sociale molto profonda sul capitalismo e sul sistema di potere instaurato dalla borghesia.
In Il sole non è per noi (1946), il racconto si apre con il protagonista André, minorenne, che viene arrestato per vagabondaggio e condotto nella prigione parigina di La Petite Roquette. In carcere, André viene sottoposto ad un regime disciplinare ferreo il cui fine è quello, ovviamente, di rendere docile il corpo del delinquente facendogli introiettare il senso della disciplina e dell’ordine per stordirlo e renderlo inattivo. Una volta evaso, il protagonista vivrà una serie di peripezie che lo porteranno alla “caduta” finale.
Questo racconto di Léo Malet descrive in modo efficace l’ideologia dell’autore in relazione all’impegno politico e alle prospettive di un radicale cambiamento sociale. Lo scrittore non crede, infatti, che l’impeto rivoluzionario sia in grado di restituire dignità e un ruolo attivo agli emarginati e ai poveri di cui descrive le storie. Secondo Malet, la miseria, la periferia, la povertà incarcerano gli uomini in stereotipi dai quali essi non potranno mai evadere: così il vagabondo povero non riuscirà mai a mantenere un lavoro e a costruirsi una posizione, il terrorista non sarà mai in grado di cogliere l’opportunità di una nuova vita, il delinquente che abbandona la strada della criminalità prima o poi ricadrà nel vortice della malavita. Ne Il sole non è per noi, la prigionia sociale è ben evidenziata dalla frase continuamente ripetuta da tutti i minorenni della banda e che costituisce il titolo del racconto: “il sole non è per noi” a indicare che il riscatto, la speranza di una vita migliore, l’opportunità di salire i gradini della scala sociale non appartengono ai poveri, agli emarginati, a chi vive in periferia. La responsabilità sociale di una tale situazione ricade, secondo Malet, sulle spalle del sistema capitalistico-borghese che ha abbandonato a se stessi gli emarginati delle periferie.
Per questi stessi personaggi non c’è nessuna possibilità di evasione: i protagonisti restano incatenati eternamente al loro ruolo, imprigionati nel loro carattere e nei loro difetti, senza percorrere un processo di evoluzione, ricordando così i personaggi di Zola le cui tare si trasmettono ereditariamente dagli uni agli altri. Quelli di Malet sono personaggi statici che incarnano, senza sfumature, proprio quegli stereotipi attraverso i quali l’alto del corpo sociale è solito giudicare chi proviene dal basso o dai margini. Lo studioso Luigi Bernardi, nell’introduzione del 2003 all’edizione italiana della Trilogia nera, definisce cinico l’atteggiamento di Malet secondo il quale qualsiasi sforzo intrapreso dal disadattato per riscattarsi scatena una forza contraria in grado di ricondurlo al punto di partenza, se non più indietro, aprendogli le porte della prigione o indirizzandolo su una strada alla fine della quale c’è la morte certa.
L’unico modo per denunciare tale situazione è l’impeto poetico-letterario che si concretizza per l’autore nella contrapposizione tra la vita dei disadattati e il corpo sociale “dabbene”. Malet, coi suoi romanzi, sbatte in faccia alla società perbenista e borghese le conseguenze di un sistema economico ingiusto, come quello capitalista, che ha prodotto i mostri delle periferie e trasformato gli emarginati in bestie feroci prive di qualsiasi coscienza.