I posti in palio erano obiettivamente pochi: 73. I candidati a quei posti erano davvero molti, troppi forse, a sentire i vaghi mugugni di coloro i quali erano chiamati a votare alle “Europarie” del M5S per scegliere la composizione delle liste del MoVimento alle elezioni europee del prossimo 25 maggio.
Un primo dato: balzano all’occhio i molti collaboratori di parlamentari o di gruppi regionali: ad esempio Fabio Massimo Castaldo, fidatissimo assistente di Paola Taverna, o Stefano Girard, portaborse del senatore Marco Scibona, o ancora Salvatore Cinà, collaboratore dell’On. Nunzia Catalfo.
Altra categoria cui non si poteva negare un bel seggio a Strasburgo (o almeno la promessa di un seggio) è quella di coloro i quali si erano già candidati precedentemente alle “parlamentarie” ma senza successo: stiamo parlando, in sostanza, di quella categoria che Marco Travaglio definisce “i trombati”, definizione che applicare anche ai “”cittadini del M5S costituirebbe ovviamente un enorme oltraggio alla democrazia.
Quasi da manuale il caso di Marco Di Gennaro che, a soli 27 anni, ha alle spalle ben tre tentativi falliti di accedere alle stanze istituzionali: due come amministratore comunale (in due diversi comuni) e una candidatura alla Camera; nell’allegro gruppo c’è spazio anche per Giulia Gibertoni, docente di semiotica alla Cattolica di Milano.
Poi ci sono i candidati M5S che sembrano le esilaranti caricature fatte da Maurizio Crozza e invece sono davvero candidati a rappresentare l’Italia (non quella dei partiti, ma quella della gente!) in Europa. Marika Cassimatis promette che “lavorerà per rinegoziare tutto”; Fabrizio Bertellino vuole cambiare l’Europa usando il “futuro indicativo” (sarebbe interessante chiedergli di coniugare il congiuntivo futuro, una volta a Strasburgo); poi c’è la lezione di storia tenuta dalla cittadina Grazia Mennella: “Sono nata a Napoli, quindi provenienza Regno delle due Sicilie”.
Poteva poi mancare un posticino per i curriculum kitsch? Ma certo che no! Eccone alcuni: Valeria Ciarambino si definisce “innamorata del M5s e di Luigi Di Maio”; c’è poi il candidato sintetico che si presenta così: “Vincenzo Viglione, svolgo libera professione nei servizi di Ingegnere Civile in cui mi sono laureato”; Giulia Moi sostiene di essere stata “la prima Erasmus in Italia” (ho sempre desiderato sapere chi fosse il/la fortunato/a: il fatto che vada a rappresentarmi in Europa mi riempie di gioia…) o ancora Maria Saija, “figlia di nessuno di importante economicamente o massonicamente”.
Un po’ di ironia fa sempre bene, ma la questione in realtà è molto seria: davvero basta un curriculum autocompilato con dati quantomeno strambi o del tutto inutili per essere valutati dai cittadini? Davvero la politica significa passare tre ore davanti a uno schermo e cliccare sui candidati che sembrano più simpatici? Mi si potrebbe obiettare che i partiti tradizionali non hanno fatto nemmeno questo. Sì, è vero, verissimo; ma se il sistema dei partiti è stato incapace di selezionare una classe dirigente onesta, competente e preparata, ciò non significa che la soluzione sia affidarsi a un metodo ancora peggiore.
E’ un po’ lo stesso discorso delle fantomatiche riforme di Renzi: è vero, verissimo, che bisogna innovare i meccanismi istituzionali, ma questa innovazione deve necessariamente essere in meglio; non in peggio. Cambiare per il gusto di farlo, o perchè va di moda, è la cosa più stupida che un sistema politico possa fare. E, a quanto pare, anche in questo Grillo e Renzi non sono poi così distanti.
La selezione dei candidati che rappresentano la Nazione (non lo dico io, lo dice quella roba vecchia e antiquata che si chiama Costituzione) dovrebbe essere una delle funzioni più delicate di ogni soggetto politico: partito o movimento che esso sia. Invece no; ormai sembra quasi che la selezione della classe dirigente sia un’operazione di marketing, sfrenatamente tesa alla sola dimostrazione di democrazia interna.
Io credo che la democrazia sia un’altra cosa: rispetto, ascolto e anche una dose di laica umiltà, intesa come uno sforzo teso ad ascoltare l’opinione altrui, a iniziare un dialogo con chi mi rappresenta nelle istituzioni o si candida a farlo. Il web è uno strumento utilissimo se, come tutti gli strumenti, è ben utilizzato: pensare la democrazia come un input algebrico da un tablet o da uno smartphone è una concezione distorta di democrazia. Perchè questa, più che “democrazia liquida”, potrebbe sembrare una forma di liquidazione della democrazia.