#Veneto, polenta, osei e “indipendensa”

In Europa, un po’ dovunque, stanno emergendo diversi particolarismi geografici, regioni che chiedono di diventare indipendenti o di “cambiare gestione”: Catalogna, Scozia, Veneto, Crimea, Irlanda del Nord, Paesi Baschi.

Ecco, se vi state chiedendo: “Che diamine c’entra il Veneto con le altre?, siete nel posto giusto. Non entro nel merito delle altre regioni citate in precedenza, si tratta di situazioni complesse e difficili da giudicare vedendole dall’esterno, mi limito a dire che il confine tra autodeterminazione e nazionalismo, in molti casi, è alquanto labile.

Del caso veneto, invece, posso parlare, riguardandomi la questione molto da vicino. Facciamo innanzitutto un po’ di chiarezza: dal 16 al 21 marzo, si è svolto un referendum (principalmente online, ma anche telefonicamente e in alcuni presidi, al sito “Plebiscito.eu”) per chiedere l’indipendenza del Veneto da quella che un tempo era chiamata “Roma ladrona”.
I voti totali hanno superato i 2 milioni, poco meno del 75% degli aventi diritto al voto, di cui l’89% favorevole alla richiesta d’indipendenza. Dati impressionanti, a prima vista, che però lasciano il tempo che trovano: per votare, infatti, bastava dare un recapito e-mail, un nominativo ed un indirizzo, con controlli pressoché inesistenti (il giornalista Lee Marshall, in un articolo comparso su Internazionale, ad esempio, afferma di aver votato dando  l’indirizzo del canile di Vicenza).

Capisco che, al di fuori della Regione, la notizia venga accolta con delle sonore pernacchie, più che giustificate, per altro, ma la questione non è banale come può sembrare.
Chiariamolo subito, questo referendum non ha alcun valore legale: in primis, perché è proprio lo Statuto, approvato nel 2012 dalla giunta leghista di Zaia, all’articolo 26, ad impedire referendum abrogativi su leggi ed atti regionali i cui contenuti costituiscano adempimenti di obblighi costituzionali o internazionali. In secondo luogo, essendo l’unità territoriale sancita dalla Costituzione, occorrerebbe, per modificarla, una legge costituzionale del Parlamento, di cui al momento non esiste nemmeno una proposta (grazie al cielo).
Infine, il diritto internazionale individua criteri ben precisi per distinguere quelle che sono legittime rivendicazioni di autodeterminazione, inutile dire che il Veneto non rientra in questi parametri.

Si è trattata solo di una carnevalata un po’ in ritardo, dunque?
La risposta è, ahimé, no. E’ chiaro che il Veneto non otterrà mai l’Indipendenza dallo Stato Italiano, e anche gli stessi organizzatori di questo referendum-farsa lo sanno bene, ma l’obiettivo concreto è quello di avere concessa una maggiore autonomia, soprattutto in campo fiscale, nella convinzione (molto, ma molto diffusa da queste parti) che le altre regioni italiane siano un freno all’espansione economica del “ricco nord-est”.
Il dato politico importante, però, è che molte delle persone che hanno espresso il loro voto sono seriamente convinte che questo referendum sia solo il primo passo per “andarsene da questa fogna” (parole che ho sentito con le mie orecchie) che ritengono essere l’Italia. E non si tratta esclusivamente di una minoranza, sono davvero moltissimi i veneti che si auspicano la nascita della “Nassion Veneta”, indipendente e sovrana, non più schiava dell’euro.
Ancor più indicativo è il fatto che non si tratta solamente di un gruppo di estremisti: tra chi rivendica l’indipendenza ci sono anche parecchi “insospettabili”, persone “moderate”, spesso nemmeno razziste, che però, per un motivo o per l’altro, credono i veneti starebbero meglio per conto loro.

A mio parere, alla base di questa richiesta, anzi, pretesa di indipendenza, c’è una visione del mondo profondamente egoistica, una pretesa di superiorità “morale” e di diversità dal resto della popolazione italiana. Si tratta di istanze pericolose, che vanno controllate e su cui va svolto un profondo lavoro culturale, perché dopo 153 da quando è stata fatta l’Italia, ancora non abbiamo “fatto gli italiani”.
Se ciò non accadrà, il pericolo è che la contestazione si allarghi e prenda forza. E, cosa più grave, che mi tocchi fare il passaporto per andare a trovare  mia nonna a Sirmione.