#Lavoro, un’idea per #Renzi

Se non fosse che di mezzo ci vanno le lavoratrici e i lavoratori, ci sarebbe da ridere. Dal bailame di dichiarazioni, indiscrezioni, rumori e smentite, retromarce e conferme provenienti dagli organi di stampa e dalle stanze di partito si potrebbe dire che quello che ha in mente Matteo Renzi, più che un “job act”, un piano lavoro, sia un puzzle di indizi disarticolati tra loro.

Andiamo con ordine: in campagna elettorale per la Segreteria PD, Renzi non ha mai fatto cenno a misure concrete di modifica o riforma radicale delle politiche industriali e – più in generale – lavorative – del Paese. Certo, la solita trafila di dichiarazioni contro la burocrazia e le tasse c’è effettivamente stata, ma non per questo possiamo dire che il Sindaco di Firenze abbia proposto un vero e proprio piano per far cambiare verso alla crisi occupazionale che attanaglia i cittadini italiani, in particolar modo i giovani.

A partire dalla sua elezione ai piani alti di Largo del Nazareno, una moltitudine di voci (anche discordanti tra loro) ha iniziato a sorvolare sulle teste delle lavoratrici e dei lavoratori. A quanto è dato sapere, questo job act (che forse sarà presentato in Gennaio) dovrebbe strutturarsi su cinque punti fondamentali. Contratto unico a tempo indeterminato per i nuovi entrati nel mondo del lavoro, flessibilità in entrata (assunzioni) e in uscita (licenziamenti), introduzione di un sussidio biennale e universale di disoccupazione,  gratuità del versamento dei contributi da parte delle aziende per i neolavoratori e, infine, l’introduzione di forme di compartecipazione da parte dei lavoratori nella gestione delle aziende stesse.

Se così stessero effettivamente le cose, ci sarebbero almeno due evidenti assenze preliminari in una futuribile azione del governo Letta sul tema del lavoro (ammesso e non concesso che il Sindaco voglia dare a “Letta” il merito – seppur nominale – di aver consentito l’approvazione della riforma del lavoro). Un primo punto che va assolutamente affrontato è la totale ristrutturazione dei centri per l’impiego: in Italia meno del 5% dei neoassunti trova lavoro grazie agli uffici di collocamento. Solamente agendo con una radicale riforma di questi apparati, andando anche a scomodare migliaia di dirigenti che in questi anni hanno percepito compensi assolutamente indebiti, si potrebbe cercare di avvicinare il welfare lavorativo italiano ai canoni del welfare continentale europeo. Una seconda critica che mi sento di dover avanzare a Matteo Renzi è basata sulla necessità di guardare in faccia la realtà, uscendo da miopi schemi ideologici: non è facilitando l’espulsione dal mondo del lavoro che si garantisce la ripresa economica.

La sospensione delle garanzie dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per i neoassunti (per i primi 3 anni) non è l’unico fattore di scetticismo e contrarietà: in questi anni le (inesistenti) politiche industriali si sono basate sull’acquiescenza ad un modello capitalistico fallimentare, quel modello familistico-clientelare che porta con sè – inevitabilmente – il rischio concreto di soprusi discriminatori nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori esterni ed estranei a tale modello.

Una terza domanda che vorrei porre è: chi ora sventola la necessità di introdurre un reddito universale di disoccupazione pagato dallo Stato, può prendere di fronte al Paese la responsabilità di mettere in moto un processo che rischia di mettere i meno scrupolosi tra gli imprenditori nella condizione di “scaricare” un lavoratore, tanto poi quello stesso lavoratore sarà a carico dello Stato? Non rischia – mi chiedo – di essere una misura che accentui, ancora una volta, il carattere deleterio del clientelismo assistenzialista in salsa italica? Non si risolverebbe, un simile provvedimento, in un incentivo al lassismo e alla negligenza imprenditoriale?

Per quanto concerne poi la proposta di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori alla gestione del capitale, occorre tenere ben presente che una simile misura, certamente utile sotto il profilo dell’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, deve portare con sè forme di netta discontinuità in termini di tempi burocratici nella concessione di prestiti a tassi agevolati da parte degli istituti di credito. Apprezzamenti dei FIOM-CGIL a parte, una simile riforma porta con sè anche un necessario cambiamento di rotta nelle ideologie antilavoriste che hanno guidato larghi strati della Confindustria anche in questi ultimi anni.

Un consiglio che mi sento di dare a chi avrà la responsabilità – nei prossimi mesi – di occuparsi del “dossier lavoro” è questo: prima di fare qualcosa, andate nelle fabbriche (che non sono tutte chiuse, come certi urlatori vorrebbero far credere, ma sono soltanto desolate), andate a parlare con gli insegnanti in quota 96, andate nei call center, andate dai pensionati, venite nelle università, negli ospedali e – perchè no? – qualche volta venite anche nelle sezioni di partito, che magari qualche consiglio utile lo potrete trovare. Così, un’idea natalizia buttata lì per caso.