Chi sono e cosa fanno i #forconi?

Abbiamo osservato in questi giorni il rapido succedersi degli eventi legati al Movimento dei Forconi. Nessuno ancora riesce a capire esattamente la vera natura di questo movimento e delle sue rivendicazioni. Ma che cosa sono esattamente questi “forconi”? Proverò, nei miei limiti a dare risposta ad alcune domande che l’opinione pubblica continua a porsi in questi giorni.

Innanzitutto il Movimento dei Forconi nacque in Sicilia agli inizi del 2012, fondato da Mariano Ferro, candidato a Presidente della regione per il Movimento delle Autonomie. All’epoca i “Forconi” erano perlopiù composti da autotrasportatori e agricoltori, che per alcuni giorni bloccarono l’isola, per protestare contro l’aumento del costo del carburante.

In questi giorni però abbiamo assistito ad un allargamento della protesta, cominciata lo scorso lunedì 9 dicembre su iniziativa del Movimento stesso, al quale si sono aggiunte poi altre realtà, provenienti dal mondo dell’imprenditoria, dell’agricoltura e dell’autotrasporto, come l’associazione veneta “Liberi Imprenditori Federalisti Europei” del post-leghista Lucio Chiavegato, i Cobas del Latte, il Movimento Autonomo degli autotrasportatori di Zaccardelli e altre sigle minori (come Azione Rurale Veneto). Tutte queste associazioni si sono riunite nel“Coordinamento 9 Dicembre”, guidato dall’”agricoltore” di Latina Danilo Calvani, proprio colui che in un recente comizio tenuto a Genova ha rivendicato “la costituzione di un governo temporaneo magari con una figura militare di riferimento”. Mercoledì il leader del coordinamento è stato visto allontanarsi su una Jaguar dopo una manifestazione a Genova, cosa che gli è valsa delle dure critiche anche da persone appartenenti al Coordinamento stesso. Calvani si è poi difeso dicendo che l’autoveicolo sarebbe di un amico (cosa di fatto vera: l’auto apparterrebbe all’amico Walter dell’Unto e non potrebbe circolare, in quanto pignorata).

Balza subito agli occhi la composizione sociale di questo movimento, formato soprattutto da artigiani, allevatori, piccoli imprenditori, autotrasportatori e partite iva, ossia da quella “piccola borghesia” che si sta progressivamente impoverendo a causa della crisi. Ovviamente non mancano le eccezioni, quali precari, studenti e persino alcuni immigrati, scesi in piazza anch’essi al fine di manifestare il loro disagio dovuto perlopiù alle politiche di austerità.

Oltre ad avere una coordinata temporale ne abbiamo una anche geografica: è stata Torino la capitale delle proteste di questi giorni. Revelli sul Manifesto parla di città del ceto medio impoverito, la città più impoverita del nord, dove è stato stimato che ogni anno chiudono all’incirca 16000 imprese. È stata inoltre definita “capitale degli sfratti” vista la quantità dei provvedimenti esecutivi (nel solo 2012 sono stati 4000). Un’altra area calda è l’ex ricco e produttivo nordest, da dove provengo io stesso, che si contende il triste primato in tema di impoverimento con il capoluogo piemontese.

Sicuramente le rivendicazioni del movimento sono prive di una loro specificità e molte persone scendono in piazza solamente per manifestare il loro disagio. Si chiedono innanzitutto le dimissioni del Governo, del Parlamento e del Presidente della Repubblica. ”Devono andare tutti a casa” si legge negli striscioni portati in piazza, cosa che ci fa capire quanto abbia avuto fortuna l’egemonia culturale e populista grillina. Si chiede poi la chiusura di Equitalia (molte persone che compongono questo movimento sono state colpite dalle cartelle esattoriali), l’uscita dall’euro ed il ritorno alla lira in nome di quella sovranità monetaria che permetterebbe al nostro paese di superare la crisi, almeno secondo i leader del movimento.

Abbiamo così delle rivendicazioni di natura reazionaria e possiamo vedere che la partita si gioca a destra, almeno per ora. Sui volantini confezionati per promuovere la manifestazione possiamo leggere “il 9 dicembre i VERI ITALIANI si fermano”, come se il fatto di essere italiani sia sinonimo di purezza dalla corruzione della nostra classe politica (i falsi italiani?). Nessuno qui mette in dubbio che l’Italia sia uno dei paesi più corrotti d’Europa, a parere di Transparency international seconda solo alla Grecia. Ma qui non si capisce il perché viene accentuata questa auto-proclamazione di essere i veri depositari della nostra identità nazionale, e con quale diritto essi facciano questo. Cosa vuol dire, che se non aderisco allo sciopero non sono un VERO ITALIANO?  Non è forse la crisi un problema di portata europeo o mondiale? Mancano poi, o sono scarse, le rivendicazioni di tipo anti-capitalista ed i problemi vengono dirottati sui nostri governanti, come se fosse solo la “mancanza di onestà” la fonte della crisi, e non la diseguaglianza sociale dovuta alla speculazione finanziaria e alle dinamiche del capitalismo stesso.

E in tutto ciò c’è l’estrema destra italiana, che si è infiltrata capillarmente  all’interno della protesta . Partiti come Casapound e Forza Nuova marciano fieri assieme a questa piccola borghesia impoverita, (vedi il corteo di Milano a cui ha aderito Forza Nuova, o la presenza costante di Casapound a piazzale Partigiani a Roma, solo per citare alcuni esempi), riuscendo spesso a dettare le parole d’ordine della protesta ed egemonizzandone i suoi simboli (ad esempio lo slogan VERI ITALIANI, i saluti romani, o il divieto di portare in piazza bandiere che non siano il tricolore) anche grazie, e mi dispiace dirlo, all’ignoranza dei più. Gioca a favore di questi loschi individui il fatto che la maggior parte di chi aderisce al coordinamento sia stato in passato elettore berlusconiano o leghista, attirato soprattutto da temi quali sicurezza, controllo dell’immigrazione o abbassamento delle tasse. È proprio sulle macerie del leghismo e del berlusconismo che si delinea questo movimento, ora perlopiù privo di rappresentanza politica.

Chi protesta vede nel poliziotto e nel carabiniere una persona che fa il proprio dovere e che rischia la propria vita contro fantomatici immigrati clandestini e studenti sovversivi anarchici. Tutto si inserisce nel solco di quella tradizione “destrorsa” che vede nelle forze dell’ordine la purezza, l’efficienza e l’integrità, al contrario dei “politici fannulloni e corrotti attaccati alle poltrone“. Peccato che a una manifestazione studentesca come quella che si è svolta giovedì 12 dicembre alla Sapienza, contro la conferenza sull’Ambiente, considerata dagli studenti stessi una passerella per i politici, la celere non abbia esitato ad entrare all’interno della città universitaria e a caricare violentemente. Ovviamente a chi fa veramente paura al potere e a chi porta in piazza rivendicazioni specifiche, e non contenuti vaghi e opachi  non è permesso dissentire (vedi le vicende legate al movimento NO-TAV ad esempio, sempre oggetto della peggior repressione).

La miscela è sempre più esplosiva e i caratteri di questo dei Forconi appaiono sempre più sfocati. Una cosa però è sicura: in questo paese si è creato un pesante clima di tensione. Mercoledì 11, a Savona, un manifestante, dopo aver intimato a un libraio di abbassare le serrande, ha minacciato di bruciargli i libri. Giovedì 12, a Teramo, un operaio che si è presentato con la bandiera rossa ad un presidio è stato intimato di tornarsene a casa dalla polizia. Martedì inoltre ci sono stati momenti di tensione tra i Forconi e i delegati della FIOM a Torino.) Alcuni volantini del Movimento recitano addirittura “W LA MAFIA”.

Il carattere ultra reazionario della protesta è indiscutibile. Quello che devono fare sinistra e movimenti sociali non è altro che portare in piazza le proprie rivendicazioni specifiche e attirare entro la propria orbita chi gravita intorno a questa protesta generalizzata, magari provando a strappare l’egemonia culturale che esercitano i partiti di estrema destra su di essa, proponendo le proprie letture più specifiche sulla crisi. Si tratta quindi di sostituire la parola “casta” con quella di “austerità”, “sovranità monetaria” con “anticapitalismo”,  “veri italiani” con “partecipazione e democrazia” e “signoraggio” con “diseguaglianza”. E magari parlare con chi ai presidi sta passando le notti al freddo, tentando di spiegare ad esempio che non siamo “tutti sulla stessa barca ma che c’è un 10% di “italiani” che possiede oltre il 50% del PIL del nostro paese. Insomma quello che dobbiamo evitare sono le narrazioni politiche superficiali e semplificanti e guardare con più attenzione alla complessità dei fenomeni. E questo vale anche per chi considera la protesta un mero “revival fascista”.