Quelle (ormai) vecchie #riforme

In Italia il Parlamento è composto da 945 persone più eventuali Senatori a vita (attualmente sono sei). E’ da almeno tre decenni che, a intervalli e intensità di volta in volta mutevoli, qualcuno propone la riduzione di questo numero. Oggi il dimezzamento dei parlamentari è una questione che da molti viene posta in cima alle riforme istituzionali da fare.

Qui sorge un primo problema, di natura squisitamente tecnica: a differenza della modifica della legge elettorale, che non richiede alcuna modifica alla Costituzione, la riduzione del numero dei parlamentari investe almeno un paio di articoli della Carta (il 56 e 57) che dovrebbero essere completamente modificati con una procedura ben più lunga e complessa di quella ordinaria.

Ma, al di là di questa nota di colore, occorre capire se e quali reali benefici potremmo avere da una simile riforma. Parlare semplicemente del dimezzamento di deputati e senatori è, di per sè, una sciocchezza. Non perchè non sia necessario ridurre il numero delle poltrone in Parlamento, sia chiaro; ma intelligenza vorrebbe che, affrontando una serie di riforme istiuzionali, non ci si fermi al mero dato numerico. Esistono, infatti, almeno tre temi fondamentali su cui è necessario agire quanto prima e in modo incisivo, senza traccheggiamenti.

Primo punto: rivedere l’attuale bicameralismo simmetrico in base a cui Camera e Senato fanno le stesse cose e, se uno dei due rami modifica anche di una sola virgola quanto approvato dall’altro, il percorso di una legge inizia a subire ritardi francamente inaccettabili per una democrazia che si basa sulla centralità istituzionale del Parlamento. Se, ad esempio, uno dei due rami parlamentari avesse il solo compito di esaminare le leggi di bilancio e quelle che coinvolgono direttamente gli enti locali, il lavoro sarebbe certamente più velocizzato ed efficiente. Ed è all’interno di questa riforma che dovrebbe innestarsi la riduzione del numero dei parlamentari (480 in totale, se guardiamo alla media dei parlamentari degli altri Paesi europei in rapporto alla popolazione).

Secondo punto: è assolutamente urgente risolvere una delle questioni più complesse del nostro sistema. Il rapporto tra Stato ed Enti locali, specie le Regioni, non è mai stato idilliaco, a essere sinceri. Ma è stato a partire dalla riforma del Titolo V del 1999 che si è aperta una giungla di regolamenti, leggi, ricorsi, interpretazioni discordanti. Può permettersi l’Italia di vedere, ogni anno, più di 14000 ricorsi alla Corte Costituzionale delle Regioni contro lo Stato (e viceversa) per capire chi debba fare cosa? No, è francamente inaccettabile: ci vuole un sistema snello e in cui lo Stato (Parlamento e Governo) prende le decisioni in termini di politiche pubbliche e stanzia la spesa corrente, mentre ogni Regione (ma il discorso si allarga anche ai Comuni) deve avere il potere e la possibilità di applicare e mettere in esecuzione le leggi che riguardano il rapporto tra cittadini e territorio.

Terza, ma non ultima, necessità di riforma strutturale del nostro sistema è l’uscita dalla palude in cui siamo dentro, forse non del tutto consapevolmente, da decenni: la palude a cui intendo riferirmi è quella serie di norme, leggi e regolamenti che determinano le modalità di funzionamento del Governo. Nessuno ne vuole aumentare i poteri rispetto al Parlamento, sia chiaro. Ma, parlandoci francamente, l’attuale sistema è a dir poco elefantiaco: come si può pensare che Parlamento e Governo lavorino seriamente se sono vincolati da norme mai del tutto chiarite e si calpestano i piedi a vicenda? Non sarebbe tutto più semplice se il Parlamento si occupasse di fare le leggi e il Governo di applicarle tramite regolamenti, oltre a gestire l’amministrazione centrale dello Stato per mezzo dei ministeri?

Fantascienza? In un Paese normale, no. Se ne parlerebbe in modo tranquillo e serio, indipendentemente dalla larghezza delle intese in gioco. Che poi, di questo passo, sono sempre più delle coperture di tutto ciò che bisognerebbe fare e non viene fatto. E, in compenso, ancora si temporeggia.