Lui (Adolf Hitler) è tornato

Sugli scaffali delle librerie tedesche, a campeggiare tra i bestsellers almeno da Natale è la faccia stilizzata di Hitler. Il libro si intitola “Er Ist Wieder Da” (“Lui è tornato”) ed è il caso letterario dell’anno: oltre 600 mila copie vendute e 25 traduzioni (in Italia è uscito il 15 maggio).

L’idea di partenza non è certo nuova: Adolf Hitler non è morto e si risveglia nella Berlino del 2011.

Ma contrariamente a quanto ho letto qua e là fra le recensioni italiane quello che colpisce non è il successo che il Führer demagogo e populista acquista grazie alle visualizzazioni su youtube e a un programma comico. Questo d’altronde sarebbe fin troppo banale: il cinema, la radio e in misura minore la televisione erano il pane quotidiano della propaganda nazionalsocialista (e fascista). Internet non è che un altro mezzo di comunicazione e non c’è dubbio che Hitler lo avrebbe saputo utilizzare perfettamente.

Forse perché (e lo ammetto senza vergogna) sono fresca di lettura del “Mein Kampf” (“La mia battaglia”) e di visione del bel film di Hirschbiegel “La Caduta” col sempre grande Bruno Ganz nei panni di Hitler nei suoi ultimi giorni nel bunker, il romanzo di Vermes mi è sembrato un ritratto estremamente preciso non del Führer che “sarebbe se…” ma di quello che in realtà è stato.

Ho provato a tornare indietro agli anni della scuola, a quando Hitler era definito sommariamente un pazzo, un razzista, uno sterminatore. Ma c’è molto di più nella sua figura, c’è una sconcertante logica nella follia del suo pensiero. Come ad esempio nel caso della sua lucida visione dell’allarme demografico, destinato secondo lui a sfociare in una guerra fra razze per la sopravvivenza.

Nel libro di Vermes, Hitler ne ha per tutti: per i partiti politici, per l’euro e la UE, per Angela Merkel, per la finanza, per i giornalisti, per la democrazia (utopia tanto e forse più del comunismo), per i liberali e i socialdemocratici e mescola il presente ai ricordi del passato, alle sue donne, ai suoi ministri e ai suoi avversari.

La storia d’altro canto rese evidente come l’universo ideologico costruito da Adolf Hitler scricchiolasse sotto il peso della sua stessa logica follia. Ce lo suggerisce anche Vermes tra le sue note. Il Fürher era un cieco seguace dell’allora ampiamente accettata scientificità del razzismo. Proprio al cospetto di questa presunta scientificità il mito della superiorità ariana crolla nella constatazione che l’ebreo e lo zingaro possono essere eliminati solo mediante una poderosa e distruttiva macchina burocratica (avete presente  il banalmente meticoloso Eichmann?). Quando Hitler capì di aver perso la guerra ammise, anche con vivo e amaro disprezzo, che il popolo tedesco, cui aveva dedicato tutta la sua esistenza, era debole, inadatto alla lotta per la sopravvivenza e meritava perciò di soccombere. Se questa non è fede incondizionata nei propri principi (o semplicemente fanatismo)…

L’ironia del libro non è comicità da cabaret, è satira tagliente di quello che crediamo di non essere più e in cui siamo invece ancora completamente immersi, primo fra tutti il pantano razzista. O forse qualcuno di voi potrebbe negare di non aver mai letto o sentito qualcuno dire che “prima vengono gli italiani”, spesso riferendosi ai rom o ai clandestini? Era in fondo così diverso l’ideale nazista di superiorità privilegiata della razza ariana?

Non ricorderemo Timur Vermes come un grandissimo autore, non è e credo non voglia essere il nuovo Einrich Böll, ma il suo è certamente un libro che ci mette di fronte a una realtà storica e ideologica spuria del mito scolastico del folle antisemita. Ed è una grande fortuna oggi avere gli strumenti per approcciarsi in questo modo al nazionalsocialismo.

Se leggerete questo libro quindi non fermatevi all’Hitler che finisce su youtube, a quello che fa propaganda in televisione. Quello non è che un espediente letterario per scovare l’Hitler che è già fra noi. Non basta chiudere i lager in Europa se poi si aprono fabbriche fatiscenti in Bangladesh, non basta la scusa della crisi per giustificare una gerarchia di accesso ai diritti fondamentali in base alla nazionalità.

Perché a fronte di tutte le atrocità che il nostro sistema globale partorisce quotidianamente è molto probabile che non vi sia nessun pericolo che lui torni.

Lui, semplicemente, non se n’è mai andato. Siamo noi che, come i personaggi del libro, non sappiamo riconoscerlo.