Stefano Rodotà, la difesa della Costituzione dai dogmi del neoliberismo

Stefano Rodotà e il neoliberismo. Cosa c’entrano? Ebbene, il professore, esimia persona dalla immane dirittura morale, la cui competenza e professionalità sono riconosciute in tutto il mondo (basta vedere la sua carriera universitaria qui), nel giugno del 2012, dalle colonne di Repubblica, è stato anche un forte critico del pensiero economico dominante. Si legge (nell’articolo, riportato su Keynes Blog), relativamente all’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione attraverso la modifica dell’art. 81:

“Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all’emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia.”

Ho sottolineato appositamente le ultime parole del Prof. Rodotà. Chi osava criticare quanto il Parlamento stava facendo, prostrandosi senza ritegno ai diktat che venivano dalla Troika (BCE, FMI, Commissione Europea), veniva tacciato di lesa economia, o peggio marginalizzato, non contemplato, come se non esistesse; bisognava ascoltare solo i dogmi dell’ideologia neoliberista. Il Professore continua dicendo che:

“Con una battuta tutt’altro che banale si è detto che la riforma dell’articolo 81 ha dichiarato l’incostituzionalità di Keynes. L’orrore del debito è stato tradotto in una disciplina che irrigidisce la Costituzione, riduce oltre ogni ragionevolezza i margini di manovra dei governi, impone politiche economiche restrittive, i cui rischi sono stati segnalati, tra gli altri da cinque premi Nobel in un documento inviato a Obama. Soprattutto, mette seriamente in dubbio la possibilità di politiche sociali, che pure trovano un riferimento obbligato nei principi costituzionali. La Costituzione contro se stessa?

E qui Stefano Rodotà, da profondo conoscitore qual’è della Carta Costituzionale, pone l’interrogativo che, applicando ciecamente i dogmi imposti da Bruxelles, i diritti sanciti dalla Carta Costituzionale stessa vengano subordinati ai dogmi in questione. Ovvero, esattamente “la Costituzione contro se stessa”. Ma oltre all’.art 81, Rodotà metteva in guardia anche dalla trasformazione dell’art. 41 della Costituzione, con queste parole:

“L’altro fatto compiuto riguarda la riforma costituzionale strisciante dell’articolo 41. Nei due decreti citati, il principio costituzionale diviene solo quello dell’iniziativa economica privataricostruito unicamente intorno alla concorrenza, degradando a meri limiti quelli che, invece, sono principi davvero fondativi, che in quell’articolo si chiamano sicurezza, libertà, dignità umanaUn rovesciamento inammissibile, che sovverte la logica costituzionale, incide direttamente su principi e diritti fondamentali, sì che sorprende che in Parlamento nessuno si sia preoccupato di chiedere che dai decreti scomparissero norme così pericolose.”

In conclusione:

“Con la modifica dell’articolo 81, con la “rilettura” dell’articolo 41, con l’indebolimento della garanzia della legge derivante dal ridimensionamento del ruolo del Parlamento, sono proprio quei principi ad essere abbandonati o messi in discussione.”

Un anno fa il Professor Stefano Rodotà metteva in guardia da ciò che oggi tutti noi vediamo con i nostri occhi: abbandono della tutela dei diritti fondamentali, distruzione del diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione, dello sviluppo della persona umana, della tutela del paesaggio, ecc… E tutta questa sofferenza in nome di cosa? Di dogmi economici che la storia economica ha mostrato essere fallimentari e altamente anti-sociali e contro i lavoratori.

Stefano Rodotà ha avuto il coraggio di denunciare, mentre la grande maggioranza degli “intellettualoidi di sinistra” si prostrava sempre di più a Bruxelles, la logica perversa e anti-costituzionale del pareggio di bilancio e della trasformazione dell’art. 41.

Sarà anche per questo (oltre a quanto giustamente scritto da Pierpaolo Farina nel suo articolo) che il PD, da sempre inginocchiato ai diktat della Troika, non vuole alla Presidenza della Repubblica un uomo che, per intaccata moralità, ha osato alzare la voce a difesa della Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza Partigiana, da quelle politiche scellerate e anti-sociali che il PD ha sempre avallato.