Alcoa: la Sardegna alla fame

Non c’è regione in Italia che possa dirsi uguale alla Sardegna. Né per paesaggio, né per cultura, né per lingua. Non c’è regione in Europa che abbia combattuto tiranni e invasori così a lungo e con così tanto orgoglio. Feudatari e fascisti li hanno chiamati banditi, talmente pericolosi e fuorilegge che nel 1904, nel Sulcis, tre dei tanti minatori che protestarono per le condizioni di lavoro disumane vennero assassinati a colpi di fucile. Fu l’evento da cui scaturì il primo sciopero generale della storia d’Italia.

Ieri con un traghetto e un aereo sono arrivati in continente in seicento, tra operai, sindaci e sindacalisti, davanti al Ministero dello Sviluppo Economico, dove la politica, l’industria e i sindacati locali decidevano le sorti dei lavoratori dell’Alcoa e delle loro famiglie. Sono volati petardi e bombe carta, il bilancio ieri notte era di venti feriti. Più Fassina, che come si vede chiaramente dal servizio del TG3 e dal video di Pubblico viene aggredito verbalmente, ma non violentemente spintonato com’era trapelato all’inizio.

Fassina ha pagato, se così si può dire, per un’intera classe politica e industriale che per generazioni della Sardegna si è interessata solo ai fini dello sfruttamento del territorio e della forza lavoro e una volta arraffato tutto ciò che era a disposizione ha lasciato l’isola al suo destino, in condizioni peggiori di come l’aveva trovata.

Sulla torre aragonese di Porto Torres ieri due ex lavoratori della Vynils hanno esposto dodici fantocci impiccati. I minatori del Sulcis hanno sospeso l’occupazione una settimana fa, ma non intendono fermare la mobilitazione. Lunedì 17 ci sarà un sit-in di protesta del personale scolastico. A luglio hanno manifestato anche i pastori sardi con un’azione più che altro simbolica, ma che forse potrebbe far capire agli economisti dell’ultima ora, che affollano tanto la rete quanto la politica, che i lavoratori sardi non hanno un mero problema di riconversione industriale o di abbandono irreversibile della pastorizia e dell’agricoltura, non un problema di cemento o di mancati investimenti nel turismo: la Sardegna ha un problema di povertà, il quale (forse è il caso che si cominci a dirlo)  non ha nessuna soluzione al di fuori dell’emigrazione. Si può speculare per ore sul contenuto di zolfo del carbone del Sulcis, sulla natura strategica o meno della lavorazione dell’alluminio, la realtà dei fatti è che i sardi sono alla fame, e non è un modo di dire

Procurad’e moderare

Barones, sa tirannia

Chi si no, pro vida mia,

Torrades a pés in terra

Decrarada est giaj sa gherra

Contra de sa prepotentzia

Incomintzat sa passentzia

In su pobulu a mancare*

Diceva una canzone scritta più di due secoli fa e i sardi pare non ne abbiano dimenticato lo spirito, lo si è visto in quest’ultimo mese e lo si vedrà per molto tempo ancora, in uno dei tanti autunni caldi della disastrosa storia industriale italiana. Temo però che alla fine la risposta della politica sarà, come sempre, una pezza peggiore del buco.

– – –

* Baroni,
cercate di moderare la vostra tirannia,
Altrimenti, a costo della mia vita,
tornerete nella polvere,
La guerra contro la prepotenza
è stata già dichiarata
e nel popolo la pazienza
inizia a mancare

[testo completo]