Probabilmente a molti italiani non starà simpatico per la sua decisione di negare l’estradizione di Cesare Battisti. Nel suo ultimo atto di governo del Brasile ha infatti preso una decisione che giustamente e legittimamente può non essere condivisa, ci mancherebbe altro!
Addirittura è stata oggetto di un sit-in bipartisan con slogan e insulti di tutti i tipi provenienti in modo particolare da paladini della giustizia a “targhe alterne” che applicano con severità la legge ai nemici e la interpretano agli amici “perseguitati dalle toghe rosse”.
Non è mia intenzione entrare nel merito di questo tema, anche perché si è detto e scritto di tutto in proposito e a sproposito, mettendo così in ombra una serie di elementi positivi che niente hanno a che vedere con le ultime vicende.
Luiz Ignacio Lula da Silva è stato per otto anni un leader progressista il cui operato politico merita di certo di essere valutato nella sua interezza, merita di essere conosciuto e non mi pare di dire un’eresia nel sostenere che coloro che noi abbiamo definito come “i presunti eredi di Berlinguer” avrebbero il dovere morale di prenderlo a modello.
La sua parabola ascendente è simbolica ed al tempo stesso incoraggiante; nato nel 1945 in una povera e numerosa famiglia a Caetes, iniziò a lavorare a dodici anni ed entrò a far parte attivamente del sindacato a diciannove, non prima di aver conseguito tra mille sacrifici un diploma di scuola superiore. Dal 1978 in poi emerse in modo netto la sua personalità di sindacalista ricoprendo la carica di presidente del sindacato dei lavoratori dell’acciaio. Nei primi anni ’80 dopo la fondazione del PT (partido dos trabalhadores) si fece sempre più intensa la sua carriera politica, costellata da numerose sconfitte, a cominciare dalla prima come candidato a governatore di San Paolo.
L’ex metalmeccanico brasiliano, dimostrando una grandissima perseveranza non ha mai “gettato la spugna”, ed anzi, dopo essere diventato parlamentare, per ben tre volte presentò invano la sua candidatura a Presidente della nazione (1989, 1994 e 1998) prima di essere finalmente eletto nel 2002 e riconfermato nel 2006.
Fatto questo doveroso riferimento biografico, veniamo ora a cercare di capire cosa ha rappresentato Lula per il suo paese, e quali sono i possibili spunti che una moderna sinistra europea sarebbe bene che traesse dalla sua esperienza di governo. Partendo da condizioni di estrema difficoltà dovute a povertà, analfabetismo, disparità sociali evidenti, Lula propose in modo particolare di attuare due piani: “fame zero” e “borsa famiglia”.
Diritto al cibo, inteso come diritto di ciascun essere umano di poter avere a disposizione l’accesso ai prodotti alimentari di base, in sostanza diritto a sopravvivere.
Accanto a questo principio, un insieme di misure di dimensioni notevoli che prende il nome di “borsa famiglia” ha consentito all’80% della popolazione di ricevere aiuti o sussidi statali a patto di rispettare alcune condizioni come quella di mandare i bambini a scuola e sottoporli a vaccinazione.
Ecco, queste condizioni, questi interventi di carattere sanitario e scolastico-educativo vengono come è giusto che sia monitorati e seguiti. In sostanza, il trasferimento di reddito ha consentito e consente tuttora il sollevamento dalla povertà, e ad esso viene associato l’accesso ai diritti di base.
Ciò ha determinato ovviamente una maggiore spesa pubblica, ma anche una serie di benefici economici come il rafforzamento di una rete di economie locali e di microimprese solidali capaci addirittura di porsi come alternativa alle grandi multinazionali.
Welfare e sviluppo, due concetti che da noi vengono visti come antitetici o incompatibili, in realtà possono coesistere, anzi devono coesistere. Ce lo dimostra il fatto che Lula, durante gli otto anni di governo ha messo in condizione più di 22 milioni di persone di uscire dalla povertà, far scendere il tasso di disoccupazione dal 12 all’8% creando più di dieci milioni di posti di lavoro pur evitando misure protezionistiche ed aumentando notevolmente il commercio con l’estero.
Come è stato possibile tutto ciò? Di certo non è facile comprendere il “caso Brasile” se continuiamo ad ascoltare i teorici della cosiddetta “politica dei due tempi”, secondo i quali prima bisogna risanare, mettere a posto i conti pubblici e poi avviare politiche sociali di perequazione e redistribuzione.
Lula ci ha dimostrato, dati alla mano, che una sinistra moderna deve essere in grado di mettere in campo misure sociali forti, che possono andare contro agli interessi dei più privilegiati, ma che alla lunga portano i loro frutti a tutta la collettività senza per questo fomentare lotte di classe.
L’uscita dalla soglia di povertà di così tanti brasiliani non ha infatti coinciso né con una guerra tra meno abbienti, né con una riduzione della classe media, che al contrario si è numericamente rafforzata. Non di poco conto dunque è l’eredità che ha recentemente lasciato Lula da Silva alla signora Dilma Roussef, da lui sponsorizzata durante la campagna elettorale ed entrata in carica dall’inizio del 2011. Il lavoro intrapreso finora deve essere portato avanti e possibilmente seguito con interesse anche dai partiti politici riformisti, socialdemocratici e post socialisti di tutto il mondo.
Il piano di crescita accelerata abbinata alla lotta alla povertà non può essere interrotto proprio ora che il Brasile è diventato la quinta potenza mondiale e si sta preparando per i mondiali di calcio del 2014 e le olimpiadi del 2016. Sono dati oggettivi che a qualcuno possono pure dare fastidio, non è facile accettare che uno stato con un governo di sinistra si possa fregiare di risultati tanto positivi.
Evidentemente ai nostrani politici interessa solo il proprio orticello e difficilmente ammetteranno che c’è qualcuno meglio di loro. Sono esperti nel giudicare negativamente se un leader straniero fa un errore, ma guarda caso sono ancor più abili a dimenticarsi o nascondere con astuzia tutto quello che è stato fatto di positivo per anni.
Al nuovo presidente del Brasile Dilma Roussef non resta che augurare di proseguire in modo concreto il cammino intrapreso dal suo predecessore, senza timori reverenziali per nessuno, ma solo nell’interesse del suo Paese.