#Tasse, la miopia della politica fiscale italiana

di Francesco Tundo, professore ordinario di diritto tributario, Università di Bologna 

 

La civiltà di un sistema fiscale non si descrive solo con i numeri che misurano l’entità del prelievo. Può soccorrere anche la geometria. Lo scenario nel quale si muove il cittadino-contribuente vede tre attori. Il legislatore, l’amministrazione della macchina fiscale, la giustizia tributaria. A ciascuno di essi la Costituzione assegna una funzione precisa.

Con un equilibrio che può essere disegnato come un triangolo equilatero del quale costituiscono i vertici. Il Parlamento fa le leggi. L’Agenzia delle Entrate le applica. Le controversie tra questa e il cittadino sono risolte dai giudici. Non è ammessa alcuna sovrapposizione di ruoli. Nel triangolo equilatero i tre vertici sono equidistanti, gli angoli hanno tutti la stessa ampiezza. Al suo interno può essere disegnata una circonferenza; al centro, che è anche baricentro del triangolo, sta il contribuente. Un equilibrio perfetto.

I giudici e l’amministrazione devono stare lontani dalle attribuzioni del legislatore. Ne va della certezza del diritto e dell’imparzialità dell’azione amministrativa. Giurisdizione e amministrazione devono rimanere alla giusta distanza reciproca. Al cospetto del Giudice, Fisco e cittadini hanno diritto alla parità delle armi.

Il nostro sistema fiscale non risponde però alle regole della geometria di Euclide. Le norme nascono sempre più spesso dal Governo, con decreti-legge. Sottoposti alla questione di fiducia, il Parlamento è costretto a convertirli senza dibattito in Aula. Sovente capita che il Governo chieda l’aiuto dell’Agenzia delle Entrate per scrivere i decreti-legge. Una prassi criticata anche dalla Corte di cassazione: anni fa ha sottolineato che l’amministrazione del Fisco non può fare il legislatore occulto.

I giudici oltre ad essere indipendenti dovrebbero anche apparire tali. Ma nel nostro sistema sono inquadrati nella struttura del Ministero dell’Economia, la stessa alla quale appartiene l’Agenzia delle Entrate, che è la controparte dei privati davanti ai giudici. E’ anche capitato che la Cassazione abbia imposto regole che non erano scritte nelle leggi, come quando ha creato il divieto di abuso del diritto tributario. Un’altra confusione di ruoli. Contribuisce a far perdere la fiducia nella giustizia fiscale.

Per risolvere le liti il cittadino rinuncia di frequente a rivolgersi ai giudici. Preferisce piuttosto cercare una composizione direttamente con l’amministrazione. Per le questioni di minor valore il contribuente, prima di invocare il giudice, è addirittura costretto dalla legge a rivolgersi ad un mediatore, che però è la stessa Agenzia delle Entrate che ha spiccato la contestazione nei suoi confronti. Non esattamente un arbitro terzo.

Insomma, i giudici riempiono lo spazio lasciato libero dal legislatore ma allo stesso tempo sono “parenti stretti” dell’Agenzia delle Entrate e quest’ultima suggerisce al Governo il testo dei provvedimenti fiscali, che sarebbero di competenza del Parlamento. Altro che perfezione del triangolo equilatero: è il risultato di una politica fiscale da troppo tempo incapace di guardare oltre i numeri delle entrate. Non abbiamo più un Ministro delle Finanze. L’ultimo aveva realizzato una buona riforma tributaria. Risale purtroppo a vent’anni or sono.

Pubblicato da QN- Quotidiano Nazionale, il 30 dicembre 2016 con il titolo: La questione fiscale e la perfezione del triangolo equilatero

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