#Razzismo di classe

Nel 2009 la campagna Dark is beautiful (Scuro è bello) ha contribuito a rendere nota anche in Occidente la forte discriminazione cui sono sottoposte specialmente (ma non esclusivamente) le donne indiane a causa del tono della loro pelle. Nell’India in cui ancora sopravvive il sistema delle caste una donna dalla pelle chiara è considerata appartenente a una casta superiore, più bella e quindi più meritevole di determinati privilegi rispetto ad una con la pelle scura. Nel resto del mondo, dove non esistono le caste ma se osi parlare di classi sociali passi per lo scemo del villaggio, esiste un problema (guarda caso) davvero molto simile.

Una pelle scura non è sempre stata associata alla schiavitù o alla classe lavoratrice, ma lo è con buona approssimazione da più di due secoli, cioè da che Colonialismo e Rivoluzione Industriale sono state determinanti per l’assetto attuale della nostra società. Gli schiavi erano, e sono tutt’ora, principalmente africani, chi lavorava nei campi aveva la pelle scura e raggrinzita perché bruciata dal sole, operai e minatori erano costantemente coperti di polvere e fango e spesso erano migranti provenienti dal bacino del Mediterraneo. Invece una pelle chiara e giovanile, le forme abbondanti e successivamente quelle atletiche e curate erano la diretta conseguenza di uno status sociale privilegiato, ricco, quindi acculturato e destinato a coprire incarichi di potere.

Anche se Nelson Mandela è stato presidente del Sudafrica e Renzo Bossi ha preso la maturità a soli 21 anni, continuiamo a portarci dietro un bias di valutazione decisamente razzista: Marianne Bertrand dell’Università di Chicago e Sendhil Mullainathan del MIT hanno inviato per circa un anno dei finti curriculum vitae (5 mila) in risposta ad alcuni annunci di lavoro (1300). In ciascuno di essi il nome del finto candidato era accuratamente scelto perché fosse inconsciamente identificabile come nero (Lakisha, Jamal) o bianco (Emily, Brendan). I candidati bianchi hanno avuto molto più successo rispetto ai neri, i quali inoltre non traggono molti vantaggi dall’essere particolarmente qualificati o esperti.

Anziché combattere il pregiudizio ci si adatta e lo si alimenta. Attraverso interventi di chirurgia plastica o ritocchi estetici meno invasivi (come tingersi i capelli di biondo), quello che donne e uomini fuori casta stanno perseguendo è un modello idealizzato di bellezza occidentale, che comporta – realmente – un miglioramento del proprio status e maggiori probabilità di essere accettati dai ceti dominanti.

L’antirazzismo è e deve essere un punto fermo della Sinistra, la lotta non va abbandonata e ancor più pericoloso è il pensare di dover condividere questa lotta con la destra borghese. Se qualcuno pensa che l’antirazzismo debba essere un valore trasversale che si costruisce di compromesso in compromesso, o che l’onere della sua piena attuazione possa addirittura essere ceduto a chi sta al di fuori della politica, nel bene o nel male, rifletta sulle origini classiste del razzismo e si chieda una buona volta anche dove sono andate a finite le sue, di origini.

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