Il famoso governo del fare

Doveva essere il “governo del fare”. E detta così sembrerebbe con ogni probabilità una malinconica barzelletta. Già, perché “Governo” come derivato del verbo gubernare, ossia “tenere il timone” suggerirebbe – così, a tempo perso – che chi è investito dell’onere e dell’onore di governare un Paese lo faccia in modo attivo, concreto, serio.

Ciò a cui stiamo invece assistendo da troppi mesi a questa parte è una totale incapacità del governo italiano di fare qualcosa di utile. E’ dal suo insediamento a Palazzo Chigi che Enrico Letta ciondola democristianamente in un sadico ritornello mai pronunciato ma sempre sottinteso: meglio non fare nulla piuttosto che rischiare di essere criticato. Un genio, praticamente.

Aveva promesso, ricevendo la fiducia dal Parlamento, un governo fin da subito attivo per fronteggiare l’incubo della disoccupazione; cosa è stato fatto concretamente? Ci si è incagliati in discorsi senza fine sui più disparati argomenti, a cominciare della questione IMU. Non che le politiche fiscali siano di poca importanza, sia chiaro, ma il governo Letta si è esercitato non in una revisione del sistema fiscale, quanto piuttosto in un vergognoso esercizio di sigle cambiate, rimescolate e poi riesumate. Non serve certo star qui a contare i balletti dei tanti nomi dati alla tassa sulla casa, ma quella vicenda è sintomatica di una sempre più evidente incapacità dell’Esecutivo nel gestire qualsivoglia questione politica.

Si potrebbe dire che il governo è balzato agli onori delle cronache più per gli scandali che hanno coinvolto a ritmo alternato alcuni suoi componenti – da Idem a Alfano, da Cancellieri a De Girolamo, passando per un viceministro “sui generis” come Vincenzo De Luca – piuttosto che per concrete azioni politiche. La domanda che viene da porsi è: a cosa serve un governo così? Il fantomatico patto di governo per il 2014 (che in realtà doveva essere già per il 2013, ma evidentemente era chiedere troppo) è svanito nelle fumose e francamente estenuanti trattative sulla legge elettorale. Eppure, a sentire Letta, le tanto sbandierate riforme dovevano essere già avviate.

Ed è pur certo che chiedere – o almeno auspicare – che questo governo dica o faccia qualcosa di sinistra, sarebbe un esercizio di fantasia decisamente eccessivo. Meglio traccheggiare, pur di non turbare la stabilità: la stabilità dei mercati, la stabilità del metodico poltronismo, la stabilità dell’attesa. Quanto sta accadendo in queste ore in merito alla vicenda Electrolux ha un che di sintomatico: una multinazionale che si permette anche solo di concepire l’idea di dimezzare gli stipendi alle lavoratrici e ai lavoratori, togliendo anche tutele sindacali e costituzionali (si pensi al “piano” in merito alle ferie e agli straordinari) avrebbe dovuto trovare un governo degno di questo nome sul piede di guerra; un governo in prima fila quantomeno per evitare che la crisi porti via, oltre al lavoro, anche la dignità stessa del lavoro.

Invece no; il governo preferisce aprire tavoli, convocare commissioni, annunciare interventi. Tutto questo mentre le lavoratrici e i lavoratori vedono scaricare sulle proprie spalle l’intero peso di una crisi causata non certo dai troppi diritti sindacali quanto piuttosto da una finanza eversiva che si nutre di un capitalismo marcescente e sempre più evidentemente inadeguato a fronteggiare le sfide della globalizzazione e dell’economia sociale. Basterebbe un po’ di coraggio; un po’ di coscienza.

Perchè il governo non si mette attorno ad un tavolo a discutere di politiche industriali? Perchè non avvia un piano di sostegno e riqualificazione dell’immenso e potenzialmente vincente tessuto produttivo italiano? Perchè non investe su quei tre-quattro settori che potrebbero trainare l’intero Nazione verso la tanto agognata ripresa? Perchè non si fa un serio piano anticorruzione? Perchè il governo non usa il proprio tempo per iniziare ad agire sul fronte dell’emergenza idrogeologica dei nostri territori? La risposta a tutte queste domande potrebbe risiedere nello stesso identico concetto espresso prima: meglio non fare nulla piuttosto che rischiare.

Eppure il rischio – e nel rischio c’è anche il rischio di sbagliare – deve essere affrontato. Perchè un governo che barcolla e si dimena in dichiarazioni tattiche non serve proprio a nessuno. Non serve ai cittadini; non serve alle istituzioni; non serve nemmeno alla stabilità. Serve solo ad aspettare, in una spasmodica attesa volta solo ad un gioco tattico tutto interno a quella maggioranza sfilacciata e psicolabile che lo sostiene.
Sembra quasi un pirandelliano giuco delle parti in cui la maggioranza si diverte a giocherellare con il governo, sempre sul filo dellle quotidiane discordanti dichiarazioni d’intenti; intanto le opposizioni vanno in giro in ordine sparso: chi sale sui tetti e poi urla che fa freddo, chi si dimena in questioni di metodo sulla migliore coalizione elettorale per le elezioni europee, chi rispolvera la xenofobia come arma di distrazione di massa.
Un calderone monotono e sonnolento in cui i cittadini rischiano di fare la fine del pollo.