Si vota in #Germania, in Europa si guarda

Si vota. In queste ore si stanno svolgendo le tanto attese elezioni. Quelle tedesche, naturalmente. Ma considerare il voto del 22 settembre come un fatto meramente nazionale, cioè riguardante esclusivamente la prima potenza economica (oltre che demografica) dell’UE, sarebbe una grave distorsione della realtà.

L’esito delle elezioni tedesche avrà degli effetti, più o meno rilevanti, anche sugli altri Paesi dell’Unione europea, specialmente per i Paesi del Mediterraneo, Italia inclusa, ma soprattutto per Grecia e Spagna. Sulla “questione mediterranea” si è generato un nuovo movimento politico, nazionalista e fortemente antieuropeo che, almeno secondo le stime di oggi, è dato al 4% a livello nazionale (ci vuole il 5% per entrare in Parlamento). Il movimento è AfD (Alternative für Deutschland). Il movimento neonato ha simpatie nei confronti dell’estrema destra, proprio in virtù di un approccio nazionalista e populista alla questione degli aiuti economici ai Paesi mediterranei e rispetto alle politiche interne dei maggiori partiti, CDU (i cristiano-sociali, guidati da Angela Merkel) non meno della SPD (lo storico partito socialista tedesco, il cui candidato Cancelliere è Peer Steinbrück).

In un incontro tenutosi a Berlino qualche giorno fa, presso una scuola pubblica, è stata posta una domanda: merita o no Angela Merkel la rielezione? In molti, pur non riconoscendosi nella CDU, hanno dichiarato che non c’è motivo per dire che non lo merita. Ma il fatto che l’attuale Cancelliere goda, diciamo così, di un’ampia “non ostilità” tra i suoi concittadini, non deve oscurare un dato innegabile: c’è indecisione e scetticismo elettorale e, non a caso, per la prima volta, è intervenuto anche il Presidente della Repubblica federale, Gauck, per invitare i cittadini a partecipare alle elezioni, votando, per difendere la democrazia e dare valore al gesto che in molti altri Paesi è considerato un sogno: la possibilità di esprimere una preferenza per un rappresentante.

Il dato generale, di fondo, è che la crisi delle democrazie occidentali, sta anche e soprattutto nel progressivo disinteresse dei cittadini alla Politica e al rifiuto di volere partecipare. L’astensionismo spaventa anche in terra germanica. Mentre la CDU assapora già la vittoria, l’avanzare della AfD preoccupa tanto quanto la progressiva erosione di consenso dei liberali (che della Merkel, sono e vorrebbero continuare a essere patner di governo), che in Baviera ha segnato un drammatico risultato negativo.

Non sembra sfondare la SPD, anzi, probabilmente non raggiungerà nemmeno il 29% delle preferenze, così come non convincono più i Verdi, che hanno perso terreno su temi a loro cari, come il piano energetico e l’energia atomica, passando ad una propaganda più incentrata sul sociale, anche per solleticare i Die Linke (il partito della Sinistra, dato intorno all’8%) ad un’alleanza “rot-grun-rot” (unica formula possibile per un governo di centro-sinistra, cosa tuttavia assai improbabile considerando le divergenze in materia di politica economica con la SPD).

La questione delle elezioni tedesche rappresenta un fattore da non sottovalutare per almeno due aspetti.

Il primo, più generale, ci indica che l’esito del voto in Germania sarà, in qualche modo, un’indicazione a tutta Europa: riuscirà, ad esempio, il partito antieuropeista AfD ad entrare in Parlamento? Se sì, ciò indicherà con chiarezza che l’anno prossimo, alle elezioni europee del 2014, il rischio concreto è di avere il Parlamento europeo più antieuropeista della storia (si pensi alla forza della destra lepeniana in Francia, del M5S in Italia, dell’UKIP in Gran Bretagna, di Alba Dorata nella stremata Grecia, delle destre xenofobe in Nord Europa). E, francamente, sarebbe il segno di un fallimento delle politiche, non solo economiche, dell’Unione Europea.

Se, al contrario, il risultato finale portasse alla necessità di una Grosse Coalition guidata da Angela Merkel ma con la partecipazione attiva dei socialisti, l’SPD si troverebbe di fronte a una sfida forse ben più grande delle proprie potenzialità.

E qui si innesta la seconda questione cruciale: quale idea di progressismo per l’Europa, se nello Stato più importante di essa non si riesce nemmeno a fare un’alleanza programmatica tra SPD, Verdi e Linke? Quale idea di futuro proponiamo ai giovani d’Europa, se nemmeno siamo in grado di proporre una politica economica, industriale, culturale, sanitaria che possa unire le forze progressiste? Con che credibilità possiamo criticare il liberismo thacheriano che oggi strozza tutta l’Europa, se nemmeno abbiamo, come forze progressiste, il coraggio di riprendere in mano le lezioni di John Maynard Keynes? Non Marx, dico, ma Keynes. Con quale concetto di Europa andiamo a chiedere voti, se si litiga su questioni francamente risibili?

Ci vorrebbe un New Deal. Non solo economico. Ma anche, e soprattutto, culturale, in senso ampio. Una “visione”, una utopia, un sogno. Un modello di Giustizia ed Eguaglianza, di meritocrazia e solidarietà, di partecipazione politica e moralità pubblica. Ecco, un New Deal delle nostre coscienze. Perchè, effettivamente, in coscienza non possiamo non ammettere che la Sinistra, in Germania come in Europa tutta, sembra sotto scacco.

E il voto del 22 settembre rischia di esserne una drammatica conferma.