Finanziamento pubblico ai partiti, i pro e i contro dell’abolizione

Tutto nacque con “La Casta“, di Rizzo e Stella, che squarciò il velo degli sprechi e dei privilegi della classe politica italiana. Era il 2007 e da allora nessuno è intervenuto sui cosiddetti “costi della politica”, con i risultati che sappiamo.

Contro il finanziamento pubblico ai partiti gli Italiani si espressero nel 1993, sull’onda dell’indignazione di Tangentopoli e Mani Pulite, ma a favore, ad esempio, si erano espressi nel referendum abrogativo dell’11 giugno 1978. La legge incriminata era la Legge 195/1974 (la famosa legge Piccoli), varata dalla Democrazia Cristiana per sopravvivere allo scandalo Petroli.

Per aggirare l’abolizione, i partiti vararono sotto il governo Ciampi una riforma dei rimborsi elettorali, nel dicembre 1993: 800 lire per ogni cittadino residente e per ognuna delle due Camere, per un totale di 1600 lire, cioè 1,10 euro, che oggi sono diventati 10. Decisamente troppo, se contato che oggi in media un partito spende 1 e incassa 5 dallo Stato: anche l’idea stessa di rimborso va a marengo.

L’ingordigia degli ultimi 20 anni dei partiti (lungi dall’essere migliori di quelli della Prima Repubblica, anzi) ha scatenato quello che scatenato, ma ora, a furor di popolo, da Grillo a Renzi, passando per Berlusconi, si torna ad invocare l’abolizione di qualsiasi contributo statale alle forze politiche organizzate (siano essi partiti, movimenti o come piace loro chiamarsi).

Insomma, l’Italia finirebbe col diventare come gli USA, dove se vuoi fare politica, devi assicurarti ingenti finanziamenti dalle lobbies, a cui poi, se vieni eletto, devi pagare in leggi e provvedimenti ad hoc il sostegno elettorale. C’è chi non ha problemi ad assicurarselo e non si fa problemi a “privatizzare la democrazia”, mascherando leggi ad aziendas con l’interesse del popolo, con il risultato che negli USA oltre il 50% degli elettori non va a votare, i partiti sono comitati elettorali e le campagne elettorali sono le più costose del mondo.

Visto che in Italia siamo già abituati alla politica dei milionari e dei galoppini delle lobbies, anche grazie ad una cultura politica inesistente e un’egemonia culturale del berlusconismo, di aggravare ulteriormente la situazione non mi pare proprio il caso. Anche perché, se proprio vogliamo dirla tutta, il sindaco di Firenze non ha ancora voluto dichiarare i suoi finanziatori (alla faccia della trasparenza), mentre è chiaro che il Movimento 5 Stelle non spenda chissà cosa in campagna elettorale, gli elettori votano Grillo che è popolare (la riprova sta nelle preferenze espresse per i singoli candidati consigliere, irrisorie rispetto a quelle date alla lista). I suoi candidati non devono quindi spendere per farsi conoscere: verranno eletti anche se completamente sconosciuti (motivo per cui poi vengono rincorsi dai giornalisti dopo, e dal tenore delle risposte, forse ai loro elettori avrebbe giovato esprimere una preferenza nominativa piuttosto che di lista).

Ma cosa succede nel resto del mondo?

Come riporta uno studio dell’Institute for Democracy and Electoral Assistance (IDEA), sono 96 i paesi che prevedono il finanziamento pubblico annuale (totale o parziale) dello Stato ai partiti, ossia circa il 44% dei paesi del mondo. Invece, sono 57 i paesi che prevedono fondi pubblici ai partiti in relazione alle spese sostenute in campagna elettorale, ossia il 26,4% (alcuni paesi del primo gruppo sono presenti anche in questa lista perché prevedono entrambi i sistemi di finanziamento pubblico).

Gli stati che invece non prevedono il finanziamento pubblico ai partiti in nessuna forma sono 55 (ossia il 25,5% del totale). In Europa sono cinque (Malta, Andorra, Svizzera, Bielorussia, Ucraina), molti sono paesi dell’Asia (come India, Bangladesh, Libano, Singapore), dell’Africa (come Senegal, Mauritania, Sierra Leone), diversi paesi centroamericani e sudamericani (quali Bolivia e Venezuela) e piccoli stati dell’Oceania.

Gran parte dei paesi europei prevedono il finanziamento pubblico ai partiti.

In Francia, la legislazione francese prevede due tipi di finanziamento pubblico: il primo, in forma di contributo annuale (circa 70 milioni di euro), viene calcolato in base ai voti ottenuti alle precedenti elezioni dell’Assemblea Nazionale, il secondo, in forma di rimborsi, in proporzione ai rappresentanti di ogni partito eletti nelle due Camere (in genere, per ogni elezione nazionale, sono sui 40 milioni di euro all’anno).

In Spagna si sommano gli stanziamenti annuali dello Stato a rimborsi elettorali in base ai voti ottenuti alle elezioni precedenti, per un totale di circa 130 milioni all’anno di finanziamento pubblico ai partiti.

In Germania, invece, non ci sono rimborsi, ma dal 1958 solo un finanziamento pubblico fisso ai partiti, in base ai voti che prendono alle elezioni precedenti per un tetto massimo complessivo di circa 133 milioni.

Nel Regno Unito, lo Stato fornisce direttamente due milioni complessivi a una decina di partiti, a cui vanno aggiunti i fondi della Camera dei Comuni che premiano i partiti all’opposizione (per esempio, il Partito Conservatore ha ricevuto circa 4 milioni e 700mila sterline per la “stagione politica” 2009-2010) e quelli della Camera dei Lord, destinati sempre ai partiti di opposizione (ma qui si arriva a un massimo di 500mila sterline all’anno per partito).

Dunque, si può sopravvivere senza finanziamento pubblico, ma secondo il sottoscritto il nostro sistema andrebbe in realtà semplicemente riformato: andrebbe messo un tetto di spesa alle campagne elettorali e il rimborso andrebbe eseguito nella misura di 1:1 e con le ricevute che dimostrano la spesa effettiva. Non un euro di più. In modo da evitare che chi ha un sacco di soldi, finisca per partire avvantaggiato (c’è il tetto di spesa), ma anche che il rimborso diventi una sorta di business che lascia in vita partiti politicamente e idealmente morti (si pensi all’Italia dei Valori, la cui tesoriera ha dichiarato che grazie ai rimborsi hanno ancora soldi per vivere, benché il partito sia politicamente morto).

Si riuscirà a portare avanti un discorso di buon senso come questo? Non sembra: da una parte c’è chi pensa che abolendo il rimborso si risolvano tutti i problemi dell’Italia, dall’altra c’è chi difende l’esistente, senza proporre alcuna modifica…

9 commenti su “Finanziamento pubblico ai partiti, i pro e i contro dell’abolizione”

  1. Abolire il finanziamento pubblico ai partiti significa ledere alla democrazia, impedendo ai partiti minori di svolgere la loro attività; PD e PDL, con i loro sponsor e i loro miliardi, non avrebbero difficoltà a sopperire all’abolizione del finanziamento pubblico, lasciando la vita politica all’arbitrio dei privati

  2. Sono contraria all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti; è giusto che ci sia un tetto di spesa alle campagne elettorali e che venga rimborsato solo ciò che è stato speso (rimborso delle ricevute) ma guai ad abolire il finanziamento pubblico!!!

  3. giustissimo cio’ che dice paola sia per il finanziamento ma sopratutto l’andare città per città quartiere per quartiere casa per casa,azzarola noi con Enrico l’abbiamo fatto per anni;questi non vogliono porte in faccia.Bersani potrebbe prendere il finanziamento e devolverlo a città della scienza,ma farsi scavalcare continuamente ora anche da quest’altro guitto è deprimente!

  4. Il finanziamento pubblico è utile solo quando c’è una seria legge sul conflitto di intessi e contro la corruzione. Se i partiti possono accedere come ora accade a finanziamenti indiretti, illeciti avere dei soldi pubblici è un surplus inutile.

  5. il finanziamento pubblico è stato abolito dagli italiani con un referendum nel 1993 che i partiti tutti hanno magicamente aggirato.Gli italiani si sono già espressi a suo tempo e la classe politica se ne è semplicemente strafregata….

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