(A)normale amministrazione

L’università, spesso molti affermano, è uno dei periodi più belli nella vita di ognuno. Specialmente se la si frequenta in una città diversa da quella di origine: si cerca una nuova casa, con qualche amico o sperando di non incappare in coinquilini difficili da sopportare, “l’obbligo” a cui un ragazzo spesso deve sottostare è quello di ottenere buoni risultati negli esami, di non perdere troppo tempo, ma per il resto spesso si può avere una libertà enorme, se paragonata con gli ultimi anni delle scuole superiori, vissuti ancora sotto il tetto paterno.

La libertà, però, dicevano, non è stare seduti sopra ad un albero. È necessario iniziare a fare i conti con una vita da “adulti”, anche se, per chi si può definire fortunato, non è ancora tempo di pensare ad un lavoro. Altri doveri però iniziano a nascere: contratti di locazione, bollette, documenti di ogni tipo, liste della spesa, che fino a poco tempo prima erano pressoché sconosciuti divengono subito pane quotidiano per ogni studente fuori sede. E la tendenza, in ogni casa in cui abitano universitari, è quella di ridurre le spese.

Si nota che per avere la fornitura di gas o di elettricità si pagano spese di attivazione non indifferenti, si vedono le bollette alzarsi sopra ogni previsione durante i mesi invernali, internet diventa meno semplice da usare: la cara e vecchia connessione adsl che c’era dai genitori è spesso ormai soltanto un ricordo, ora bisogna affidarsi ai computer delle aule di informatica dell’università, alle biblioteche civiche, dopo aver comparato i costi di un tale “lusso” rispetto al budget mensile disponibile.

Su alcuni sprechi è spesso difficile incidere in maniera efficace, per quanto possano essere fastidiosi. Su quelli che si riescono a controllare, l’obiettivo è sempre minimizzarli, evitarli. E notare che ci sono situazioni in cui qualcuno cerca di complicarti la strada per motivi totalmente futili non è piacevole. La prima fonte di “risparmio” è certamente l’ottimizzazione dei tempi: non gonfia il portafoglio; ma, dopotutto, il tempo è denaro. I fastidi nascono poi, notando la quantità di giorni necessari ad aprire un’utenza, a pagare in posta un bollettino, o sbrigare pratiche per le quali è necessario passare negli uffici delle multiutility.

Lunedì scorso mi sono deciso ad andare a chiedere come mai, da settembre, non è ancora mai arrivata a casa la tassa sui rifiuti. Armato di pazienza, avevo considerato l’eventualità di una coda e di una lunga attesa. Ma non potevo immaginare lo “spettacolino” davanti al quale mi sarei trovato.

L’ufficio funzionava come molti altri nel suo genere: a seconda della necessità del cliente, si preme un pulsante specifico, contrassegnato da diverse lettere e si riceve un foglio con il proprio numero. Un display poi indica in quale sportello ci si dovrà dirigere.

Nella sala d’attesa c’era già “qualcosa che non andava”. Il famigerato display, sopportando lo sguardo della decina di persone sedute, riportava tranquillamente tre abbinamenti sportello-cliente identici. Ora, a meno di persone che si moltiplichino, ciò non rientra nel regolare funzionamento di questi posti, dovrebbe anzi essere una situazione impossibile. Prendo posto, in parte ad un anziano signore. Questi, poco dopo, inizia a parlare con me: la linearità del discorso è più propriamente una curva, ma il succo delle sue parole è che lui è in attesa da ormai mezz’ora, che lui è un pensionato, ha “tempo da perdere”, ma le persone con un impiego come fanno? O magari gli studenti in clima di terrore pre-esami? È necessaria una rivoluzione, conclude.

Passa del tempo, circa venti minuti, poco più, ma il display non cambia, resta immobile. Si inizia ad avvertire una certa tensione. Una signora di mezz’età passeggia nervosamente nella saletta, i volti sono stanchi e infastiditi, ogni persona lì presente è conscia dell’enorme spreco di tempo a cui deve sottostare, e l’idea di essere bloccati in quel posto non è piacevole: c’è chi deve tornare al lavoro, chi a casa dai figli, chi a lezione, chi non deve fare nulla di tutto ciò ma di sicuro avrebbe faccende più allettanti da sbrigare.

La signora, ad un certo punto, perde la pazienza. Passeggia nervosamente nella saletta, iniziando ad alzare la voce, ponendo una sequela di domande: come mai la coda non scorre? Per quale motivo bisogna aspettare così tanto tempo per pratiche che durano pochi minuti? E soprattutto, non è presente un qualche responsabile con cui poter discutere della situazione?

Il segretario presente cerca di tranquillizzarla, senza il minimo successo. Dopo qualche battibecco, promette di portare nella saletta la responsabile degli sportelli. Quando questa arriva, ogni parvenza di educazione presente in lei o nella signora va presto scomparendo. Le voci diventano alte, in un continuo domandare all’altra duellante verbale un minimo di rispetto. E poco dopo, le dieci persone in attesa vengono a conoscenza del motivo di tanto tempo perso: gli addetti sono in pausa caffè. È molto difficile prendere seriamente le parole di una persona che dovrebbe rivestire un ruolo di responsabilità nell’amministrazione di una società, quando risponde in questo modo alle lamentele, peraltro corrette, di un cliente. Se era soltanto una scusa, è decisamente riuscita malissimo. Se, come presumibile, non lo era, è ancora peggio.

Non voglio affatto sostenere la tesi che vuole uno sfruttamento esagerato dei dipendenti, non ho intenzione di promuovere una campagna per sanzionare la pausa caffè, ma non penso sia giustificabile una attesa di mezz’ora a causa di alcuni impiegati in sosta. Dalla reazione che ha avuto, non lo pensava nemmeno la signora: urlando quasi a squarciagola, ha iniziato un discorso molto simile a quello del pensionato, arrivando ad auspicare malanni alla responsabile, promettendo lettere ai giornali della città, affermando di sperare anch’essa in una rivoluzione, perché “se va avanti così, questo paese è fregato”. La responsabile ha risposto in modo sempre più ridicolo, fino ad arrendersi, dopo aver ricevuto un testuale “fanculo!” davanti a tutti, per poi ritirarsi negli uffici. Subito dopo, il display è cambiato, facendo tornare tutto alla normalità. Da questo momento, sono stati sufficienti cinque minuti per arrivare allo sportello e due per chiedere i necessari chiarimenti al mio dubbio.

La situazione descritta mi è realmente accaduta. E purtroppo, è plausibile considerarla un modello di moltissimi casi analoghi. Chissà quante casalinghe, pensionati, lavoratori, studenti si saranno trovati in inutili lunghissime code, presso un qualunque ufficio della pubblica amministrazione o delle multiutility e simili. Poi, non credo sia imputabile ai giovani una disaffezione nei confronti della cosa pubblica, una fuga all’estero, quando questi iniziano a vivere da soli e si rendono realmente conto di come certe cose funzionino nel belpaese. E credo sia una cosa davvero molto triste che in Italia alcune cose si possano risolvere soltanto alzando la voce e protestando, quando dovrebbero essere assolutamente normali, negli anni e nel continente in cui viviamo.

Per citare di nuovo la signora di mezz’età: un “fanculo” a volte non è il rimedio migliore, ma per risolvere certi casi è, sul breve termine, il più efficace.

1 commento su “(A)normale amministrazione”

  1. che vergogna…ma purtroppo succede dappertutto anche qui in provincia di…

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