Ilva: la vita e la morte

Il Tribunale del Riesame ha confermato la decisione di sequestrare l’Ilva, mantenere ai domiciliari Emilio Riva, Nicola Riva e Luigi Capograsso e di garantire la sicurezza degli impianti. Non è ancora chiaro però, se sarà consentita la produzione o se gli impianti verranno utilizzati solo per essere messi a norma. Ieri il Presidente della Repubblica ha firmato il decreto legge sulla bonifica che prevede lo stanziamento di 336 milioni di euro (DL n.129). Sempre il Tribunale del Riesame ha incaricato il presidente del cda dell’Ilva, Bruno Ferrante, di monitorare la bonifica.

Il procuratore della Repubblica Franco Sebastio ha parlato di “conferma della tesi accusatoria”. Intanto, sempre il Tribunale del Riesame (composto da Antonio Morelli, Rita Romano e Benedetto Ruberto) ha annullato gli arresti per cinque degli otto dirigenti Ilva finiti ai domiciliari. Il movimento ambientalista ha contestato la scelta di nominare Ferrante custode e amministratore delle aree e degli impianti sotto sequestro per controllare le emissioni inquinanti.

Rispetto al al gip Todisco, dunque, il riesame ha permesso all’Ilva di lasciare gli impianti in funzione. Non si parla più di chiusura e di interruzione dell’ attività. La sentenza, comunque, non è ancora chiara e per comprenderla meglio occorrerà attendere ancora.

La realizzazione del centro siderurgico Italsider si colloca nell’ambito delle politiche di industrializzazione degli anni ’50. La scelta di Taranto ha avuto le seguenti motivazioni: la presenza del porto (un’infrastruttura necessaria per soddisfare le necessità degli impianti) e le caratteristiche geografiche del’area. Il bacino del Mar Grande, infatti, consentiva (e consente) di accogliere le navi minerarie e carbonifere.

La lavorazione delle materie prime è distinta in più fasi durante le quali vengono impiegate il carbon fossile, il minerale di ferro e il calcare per poi essere trattati. Durante le prime fasi della lavorazione si liberano sostanze volatili e lo stesso avviene nell’altoforno dove si assiste all’evaporazione dei costituenti del catrame. Per i lavoratori è perciò possibile individuare una serie di malattie: bronchite cronica, danni cardiocircolatori, diminuzione dell’udito e malattie multifattoriali (che hanno diverse cause).

L’inquinamento fisico, chimico, biologico influenza variamente la salute umana. Nel mare vengono versate enormi quantità di sostanze tossiche che alterano gli equilibri biologici. Un’indagine condotta all’inizio degli anni ’90 dal dottor Ezio Stefano (oggi sindaco di Taranto) ha evidenziato per la prima volta un aumento della mortalità per neoplasie. Nell’aria della città sono presenti: diossido di azoto, anidride solforosa, acido cloridrico, benzene, monossido di carbonio, biossido di carbonio, nichel, mercurio, piombo, zinco e arsenico. Queste sostanze hanno portato ad un incremento dei tumori nell’intero Salento (2096 decessi nel 2008 dovuti all’inquinamento). Si è passati dal 19,8% del 1990 al 25,8% del 2008.

Ci si chiede: di chi è la colpa? Chi sono i responsabili di questa situazione?

Di certo se si è arrivati a tanto è colpa dello Stato (fino al 1995 l’Ilva era un’azienda pubblica) e del Gruppo Riva. I vari ministri dell’ambiente non hanno fatto altro che tollerare la prepotenza dei dirigenti dell’azienda (il Ministro Stefania Prestigiacomo giudicò inopportuno il provvedimento con cui il presidente della regione Nichi Vendola intimava all’ Ilva di rispettare i limiti di emissioni) . Anche i sindacati sono parzialmente responsabili, in quanto ritenavano che per tutelare i posti di lavoro fosse necessario non “disturbare” l’azienda permettendole di inquinare a più non posso.

Ora è necessario un forte intervento affinché si coniughi lavoro e ambiente impiegando le migliori tecnologie. Un monito è da lanciare anche agli ambientalisti più radicali in quanto non è possibile far finta che il dramma sociale della disoccupazione non esista. L’ilva fornisce il 30% dell’acciaio in Europa, ha più di 13 mila lavoratori provenienti da tutta la Puglia, dalla Calabria, dalla Basilicata, dal Molise e addirittura dal Lazio. E’ una una delle poche realtà meridionali ancora attive. Per questo è necessario la collaborazione di tutte le forze sociali di Taranto e del paese. La sfida di garantire lavoro e salute  va colta adesso se si vuole assicurare un futuro a questa terra piena di potenziale.