Amato attacca Berlinguer, ma l’unico vuoto politico è quello di Napolitano

Quando morì Giorgio Napolitano, tra me e me pensai: “Chissà quando finalmente si potrà cominciare a dire, a ragione, tutto quello che si è detto di Berlinguer per 30 anni, a torto“. 

I tempi evidentemente non sono ancora maturi, vista la persistente intoccabilità che permea la figura dell’ex-Presidente della Repubblica, come dimostra il pomposo convegno organizzato in Senato dalla Fondazione che porta il suo nome, presieduta da Walter Veltroni.

Ad “entusiasmare” coi sui fini ragionamenti una platea che ad occhio si aggirava sugli 80 anni, c’era anche Giuliano Amato, ex-braccio destro di Bettino Craxi, un po’ ex-di qualsiasi cosa, a dire il vero, persino Presidente di una Commissione sull’intelligenza artificiale.

Col suo eloquio da contabile della Gringott, la banca dei maghi di Harry Potter, il nostro si è lanciato in uno sperticato elogio di Napolitano, ma mancandogli a ben vedere una solida base, si è dovuto rifugiare nel più classico dei cliché: attaccare la figura di Enrico Berlinguer.

Amato e il presunto “vuoto politico” di Enrico Berlinguer

Amato non ha dubbi:

La storia d’Italia sarebbe stata diversa se Giorgio Napolitano non fosse rimasto in minoranza e se la sua prospettiva fosse stata condivisa da un uomo di grande fascino ma privo di vedute per il futuro. Questa è la verità che oggi è ancora difficile per molti accettare perché il fascino dell’altro, il fascino di Berlinguer ha un che di emotivamente invincibile.  Ma ha imbucato la grande forza del Pci verso il vuoto”.

Ora, se l’ex-dottor Sottile, come veniva soprannominato negli anni ’80, si fosse premurato di fare un lavoro di archivio anche solo lontanamente simile a quello del sottoscritto, avrebbe scoperto due cose: 

  1. se ancora oggi si parla di Enrico Berlinguer, a 41 anni dalla morte, e ci sono così tanti giovani che si ispirano alla sua figura, è anzitutto per la straordinaria attualità delle cose che diceva, a dimostrazione del fatto che una visione di futuro l’ex-Segretario ce l’aveva;
  2. ad aver imbucato la grande forza del Pci verso il vuoto non fu Enrico Berlinguer, ma chi venne dopo di lui, e non mi riferisco solo al gruppo dei quarantenni che si strinse attorno a Natta dopo la sua morte, ma anche e soprattutto ai Miglioristi di Napolitano, che spinsero coi loro veti incrociati il partito in una situazione di stagnazione politica per la bellezza di cinque anni, fino alla caduta del Muro di Berlino. 

Come riportato nei verbali dell’epoca, quando si trattò di scegliere il nuovo Segretario nella prima Direzione del partito dopo i funerali di Berlinguer, fu Luciano Lama a dire, di fronte a un povero Natta che si riteneva inadatto come Segretario, “noi non usciamo di qui finché tu non diventi Segretario“. 

E come nella più classica delle tradizioni, dopo averlo messo alla testa del partito, iniziarono a logorarlo, costringendo Natta, fedele all’impostazione togliattiana dell’unità del partito a tutti i costi, a dover mediare con tutte le varie anime, quindi a finire nelle sabbie mobili. Una “stagnazione politica” da cui il Pci uscirà solo con la svolta della Bolognina, che diede inizio però a una guerra fratricida conclusasi con una frattura ancora oggi non sanata. 

Il vero vuoto è quello di Napolitano

Ma arriviamo ora all’ex-Presidente della Repubblica. Politicamente, nessuna sua “visione” è stata all’altezza del momento storico in cui è stata espressa. Basti pensare che l’unico capolavoro politico da Presidente della Repubblica fu quella di congelare gli entusiasmi per le grandi vittorie del 2011 alle amministrative e ai referendum, nominando senatore a vita non si capisce per quali meriti Mario Monti e fargli presiedere un governo.

Risultato: il Movimento 5 Stelle passò in un anno e mezzo dal 4 al 25%, diventando il primo partito italiano, mentre Silvio Berlusconi tornava in carreggiata e il centrosinistra a guida Bersani ne usciva con le ossa rotte.

D’altronde, l’impostazione di Napolitano era la stessa di Togliatti: la priorità politica erano le alleanze tra partiti. Berlinguer, di contro, nell’ultima fase della sua Segreteria, quella che non ricorda mai nessuno, aveva capito l’importanza di dare priorità ai contenuti, ma soprattutto l’importanza delle alleanze coi movimenti sociali, da quello femminista a quello pacifista e ambientalista, in un’epoca dove i partiti si stavano trasformando “in partiti personali, in club, se non in cosche clientelari“, come disse nel suo comizio a Reggio Emilia nel 1983.

La persistenza della visione togliattiana, propria di Napolitano e anche dei quarantenni che presero il partito dopo Natta, è stata una delle ragioni che ci ha portato nel deserto politico di oggi. Non quella berlingueriana, invero fatta propria da nessuno, altrimenti i giovani non dovrebbero rifarsi a Berlinguer per ritrovare un esempio politico decente da seguire, sia sul fronte del modo di fare politica, ma soprattutto sulle “cose da dire”.

Sfido d’altronde chiunque a citarmi una proposta politica, una parola d’ordine, un discorso “epocale” di Giorgio Napolitano, sia dei tempi di Berlinguer che di epoche più recenti. Non c’è nulla, non è rimasto nulla. Perché la sua era una politica intrisa di machiavellismo togliattiano, fatta di alchimie politiche, di formule da laboratorio che non trovavano alcuna applicazione pratica nella realtà.

Non è vero che la prospettiva di Napolitano fu minoranza: era anzi maggioranza nel gruppo dirigente del Pci, tant’è che quando per la prima volta gli ex-comunisti andarono al governo nel 1996 la parola d’ordine, lanciata da Miriam Mafai col suo omonimo pamphlet, fu “Dimenticare Berlinguer“.

Ecco, noi berlingueriani di terza generazione siamo più signori di Amato e compagnia. O se volete, più pragmatici, nel senso che crediamo ci siano ben altre questioni di cui occuparsi, più urgenti.

D’altronde, se “dimenticare Berlinguer” è impossibile, dimenticare Napolitano è qualcosa che la stragrande maggioranza degli italiani, nonostante le agiografie a reti unificate, ha già fatto. E stia tranquillo l’ex-dottor Sottile: l’Italia si dimenticherà anche di Giuliano Amato.