Un passo indietro. E uno avanti.
Campagna elettorale.
Luigi Di Maio: “La Lega Nord che parlava di “Roma ladrona” deve decine di milioni di euro ai cittadini e urla al complotto“.
Matteo Salvini: “Ad oggi i 5 stelle sono più a sinistra di Rifondazione. E quindi su questo è ben difficile ragionare di governo insieme“.
Ho tralasciato le dichiarazioni peggiori.
4 marzo 2018. Il Movimento cinque stelle sfonda il muro del 30%; la Lega supera Forza Italia e trascina la coalizione di Centrodestra al 37%. Tuttavia nessuno detiene la maggioranza necessaria per formare un governo.
Dichiarazioni. Consultazioni.
Di Maio: “Con la Lega senza Berlusconi“.
Salvini: “Con il centrodestra unito o niente“.
Di Maio: “Proviamo con il PD. Con la Lega il dialogo è ufficialmente chiuso“.
Spunta l’altro Matteo, segretario dimissionario, in televisione: “Noi staremo all’opposizione. Nessun governo con i 5 stelle“.
Martina, segretario reggente del PD: “Così è impossibile guidare il partito.”
La direzione Pd accetta il diktat di Renzi.
7 maggio. Interviene Sergio Mattarella: “Fiducia a governo neutrale o voto entro autunno“. Salvini e Di Maio: “Urne subito”.
9 maggio. Colpo di scena. “Patto Lega – M5S: Avanti su Fornero, reddito e migranti“.
Comincia la fase del contratto di governo. “Ci siamo, stiamo scrivendo la storia“.
23 maggio. Il premier incaricato è tale Giuseppe Conte, sconosciuto al 98% degli italiani. Ma lui rassicura: “Sarò l’avvocato del popolo italiano“.
In sostanza un professore universitario, non politico, non parlamentare e non votato dal POPOLO (per parlare la vostra lingua) messo a capo di una coalizione non votata dal POPOLO, che non ha nessun potere decisionale. In una parola: Figurante.
*Per inciso: nessun governo è stato mai votato dal popolo. Ma è compito del Presidente della Repubblica nominarlo. Non lo dico io. Lo dice la Parte II della nostra Costituzione. Quella che avete difeso il 4 dicembre 2016.
L’ho difesa anch’io, ma per ragioni diverse dalle vostre.
Totonomi: Salvini agli Interni, Di Maio al Lavoro. All’economia, ministero chiave, spunta tale Paolo Savona, economista, uomo dell’establishment (non si può dire casta, perché ci sono i grillini al futuro governo). Savona considera fallito l’esperimento dell’Euro e conserva un piano B per la fuoriuscita dallo stesso.
A tal proposito si possono avere mille pensieri. Si può essere più o meno d’accordo. Ma voglio ricordare agli smemorati che la moneta unica e l’Europa non sono stati argomento di campagna elettorale. Addirittura Salvini ha sempre sostenuto la volontà di fare la voce grossa in Europa in tema di migranti.
A questo punto, interviene nuovamente Mattarella che dopo aver accettato questo ennesimo tentativo (siamo intorno agli ottanta giorni successivi alle elezioni), dopo aver accettato Conte premier, dopo aver accettato tutti gli altri ministri, chiede di cambiare Savona con un ministro politico autorevole, o grillino o leghista. Si fa il nome di Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega. Ma Salvini si impunta. Di Maio regge il gioco. Conte risale al Colle, ripresentando la stessa lista di nomi.
Domanda: come puoi, caro Matteo, rifiutarti di mettere il numero due del tuo partito a capo di un ministero chiave, imboccato direttamente dal Colle? Semplicemente volevi far saltare il banco. E ci sei riuscito. Missione compiuta.
Sergio Mattarella non approva Savona. Lo può fare. Lo dice la Costituzione. Quella che avete difeso il 4 dicembre 2016. E non mi dilungo su questo, perché ho letto delle righe che non so veramente commentare. Basterebbe soltanto analizzare il concetto di Responsabilità.
E allora Golpe. Colpo di Stato. Stato di accusa. Impicccmenttt.
MORALE: Salvini, da abile giocatore politico (Statista è un’altra cosa, per cortesia) ha letteralmente “usato” l’incapacità politica di Di Maio. L’ha girato, capovolto e seppellito in poco più di due mesi. Perché per i grillini era “il governo del cambiamento“, mentre per la Lega era soltanto il trampolino per vincere ampiamente le prossime elezioni.
Probabile è anche un altro scenario: B. si rifiuta di ricreare (per la milleduecentosessantamillesima volta) la coalizione di centrodestra. Salvini a quel punto ha due opzioni: o riabbracciare (come fece Bruto con Giulio Cesare) il povero Giggino che non sa in questo momento in quale emisfero si trovi esattamente; o andare da solo, rischiando di non ottenere la maggioranza e ritrovandosi ancora una volta a contrattare (inciuciare non si può più dire) un governo.
Alle prossime elezioni ci sarà un B. in più, anche se io non sono tra coloro che lo vedono ancora in prima linea. Ormai è un gregario al tramonto.
Dall’altra parte il vuoto assoluto. La sinistra che non c’è. Che in 85 giorni non ha fatto autocritica e non ha pensato ad una strategia di riassestamento o di ricostruzione. Non esiste una proposta politica. Sembra il post-armistizio dell’8 settembre 1943. “Che fare?”. Lo scriveva anche Lenin.
Io non esigo la rivoluzione. Anche se rimane la cosa più affascinante e utopica che esista. Mi basterebbe un partito di sinistra che sia di Sinistra. Antifascista. Al fianco dei lavoratori e dei ceti sociali più deboli. In mezzo alle periferie. Che si batta per un incremento di servizi sociali. Che sogni un paese dove nessuno sia straniero. Un partito di Sinistra.
A volte, davvero, a trentun’anni penso: “Volevo la luna“. Come scriveva Pietro Ingrao.
Ma l’utopia salverà il mondo. Io ci voglio credere.