L’eredità del compagno #Guttuso

Trentuno anni fa la morte di Renato Guttuso, icona del Realismo su tela, lasciava l’Italia culturalmente più povera. Roma si fermò: la politica rese omaggio ad uno straordinario uomo di cultura, pittore, ma anche editorialista, critico, teorico, Senatore. Le maggiori personalità  del tempo, da Nilde Jotti ad Andreotti, passando per Craxi e Fanfani erano presenti, con sincera commozione, al funerale del compagno Guttuso. Ciò non deve stupire: l’artista siciliano, nella sua vita, ha sempre diviso, unito, lottato, descritto la realtà italiana in modo così oggettivo da conquistarsi il rispetto e, perché no, l’ammirazione, pure di chi non condivideva la sua stessa visione, i suoi stessi stessi ideali.

Guttuso nasceva a Bagheria il 26 dicembre 1911. Trascorse l’infanzia tra gli scogli del Golfo di Palermo e le sontuose ville settecentesche della nobiltà siciliana, ormai in decadenza. Dimostrò la propria vena artistica già in età precoce, prendendo come modelli gli ardenti panorami e la figura di suo padre, il quale, da lì a poco, sarebbe stato osteggiato dai fascisti per le sue posizioni politiche; i paesaggi tanto amati intanto stavano cambiando: l’imponente e squadrata architettura fascista contaminava prepotentemente, come un virus, la bellezza della terra isolana.

Ciononostante, il talento di Renato si sviluppò lo stesso: ben presto i suoi lavori conquistarono anche la critica littoriale. Lasciata l’università per concentrarsi unicamente sul suo dono artistico, partì in direzione di Roma e Milano, dove conobbe il filosofo razionalista Banfi, esponenti della scultura romana come Mazzacurati e Mafai e l’intellettuale Antonello Trombadori.

Politicamente, la sua posizione fu subito chiara: nel 1940 si iscrisse al clandestino Partito Comunista d’Italia. I problemi erano molti, tanto da doversi rifugiare a Genova per far ritorno a Roma solo in un secondo momento.

Artisticamente, si mosse dall’Espressionismo, per giungere alle scomposizioni picassiane e, in seguito, al Realismo, di cui divenne uno dei maggiori esponenti. Sono gli anni del Dopoguerra, in cui, dalle funeste macerie, la cultura italiana può rifiorire: le sale cinematografiche proiettano “Gioventù perduta di Germi, “Ladri di biciclette” di De Sica, “Paisà” di Rossellini; nelle fabbriche gli operai ritornano a lavorare, la FIAT dà vita alla mitica Nuova 500, simbolo di un’intera generazione. In questo nuovo movimento di rinascita, Guttuso rappresenta la società proletaria e scorci della tranquillità, tanto sperata durante la Guerra, quotidiana: picconieri della pietra dell’Aspra, zolfatari, cucitrici, manifestazioni di contadini per l’occupazione delle terre incolte, comizi e soprattutto natura morta. I riferimenti alla sua terra, espliciti o impliciti, non vengono mai meno: “Anche se dipingo una mela, c’è la Sicilia”.

Le sue pennellate assumono significati politici, un’ aspra denuncia sociale emerge dalle sue opere, che, nonostante il ostruzionismo dei liberali USA, si fa conoscere anche all’estero: prende definitivamente forma l’Arte sociale. Nel 1950 ottiene a Varsavia il premio del Consiglio Mondiale per la Pace, nello stesso anno tiene la sua prima personale a Londra. Negli anni ‘60 collabora alle più importanti riviste italiane e internazionali con scritti di teoria e critica d’arte, prendendo posizione nel dibattito sul realismo. Dipinge “La Discussione”, che verrà acquistato dalla Tate Gallery di Londra. Il Museo Puskin di Mosca gli dedica un’importante retrospettiva nel ’61. Il Museo Stedelick di Amsterdam gli dedica un’antologica di grande successo, che sarà poi ospitata anche al Palais de Beaux Arts di Charleroi.

Parallelamente, alla vita artistica, si dedica anche alla politica. Nel 1953 disegna lo storico simbolo del PCI, la “Falce e Martello”, con sfondo tricolore, che verrà ripreso dal creatore della pop art statunitense, Andy Warhol. Viene eletto Senatore, nelle file del PCI, nel ’76 e nel ’79. Nel ‘72 dipinse “I funerali di Togliatti” che diverrà, ben presto, opera-manifesto della pittura comunista e antifascista. In essa sono raffigurate, in maniera allegorica varie figure del comunismo (Marx, Engels, Stalin, Lenin, Trotsky e altri), tra operai, bandiere rosse e la salma di Togliatti. Nel 1972 ottiene il più importante riconoscimento per un comunista: il Premio Lenin per la Pace e gli viene dedicata una grande all’Accademia delle arti di Mosca.

Uomo colto, seduttore, circondato da amici di grande fama: Pasolini, Picasso, Neruda. Ma anche fortemente saldo nei suoi principi, tanto da difendere gli astrattisti comunisti contro le critiche di Togliatti e da avere accese discussioni con il vecchio amico e compagno Sciascia.

Nonostante dichiaratosi ateo, Guttuso trasse sempre ispirazione dalla tradizione religiosa, come si può ammirare nella polemica “La Crocefissione” e nelle rappresentazioni dell’Inferno dantesco.

 

Tuttavia, della memoria di questo artista così apprezzato in passato, rimane poco. Complici la sua indifferenza nella valutazione economica delle sue opere “So a quanto li vendo io, ma non so quanto costano”, l’isolamento dal mercato nord-americano e, infine, la caduta del Muro, il valore delle sue opere è sceso drasticamente. Poche sono le mostre di rilevanza nazionale, quasi assente è la conoscenza della politica attuale. L’arte di Guttuso è sbocciata in un periodo storico in cui la politica e la cultura erano sinergicamente unite. Conoscere gli artisti significava entrare in contatto con la realtà che gli artisti rappresentavano. Vi erano centri culturali e sociali, in cui lo scambio di idee, di opinioni e di critiche poneva le basi per la cultura del domani.

Si perde la memoria degli artisti come Guttuso, perché è più facile sedurre il popolo con promesse inverosimili, piuttosto che comprendere le sue necessità e proporre delle soluzioni. È più facile canticchiare in modo pagliaccesco la canzone del momento, piuttosto che stare in silenzio ed ammirare un’opera. Molti tra coloro che sostengono di rappresentare la “sinistra”, dovrebbero prima conoscere il significato storico e culturale di questa parola.

Non dimentichiamo Guttuso, non infanghiamo ciò per cui, uomini come lui, hanno dedicato la propria esistenza.