Lettera a una #donna

Cara nonna,

ieri era l’8 marzo e ti ho pensata sai? In realtà lo faccio spesso, specialmente quando arriva la primavera e mi vengono in mente le nostre giornate in campagna a raccogliere i fiori de gasia o quando mi mandavi a cercare le uova nel pollaio e chi se ne importava se mi sporcavo tutta. Da quando non ci sei più, per me sono cambiate tante cose: sono diventata più grande (credo), ho fatto l’università e ho vissuto in due Paesi diversi oltre all’Italia. Ah, papà le galline le ha lasciate morire di vecchiaia, ma tu lo sai com’è fatto, non uccide manco le zanzare.

Sappi però che il mondo non è cambiato così tanto. In giro ci sono le stesse ingiustizie che ti facevano quasi piangere 20-30 anni fa. Dico quasi perché a te la povertà da bambina aveva tolto anche le lacrime. Ci sono ancora la fame, la guerra, le malattie, il razzismo. E il sessismo. Di sessismo non ne hai mai sentito parlare, lo so, ma esisteva anche quando eri giovane tu. Era quella cosa per cui ti rinfacciavano il tuo modo di vivere. Forse non te lo ricordi o forse non te ne sei mai accorta, ma era davvero uno scandalo il fatto che a te non piacesse per niente fare la casalinga, che per te fosse mille volte meglio raccogliere pomodori sotto il sole e con l’afa piuttosto che preparare una cena come si deve. A me, nonna, non è mai fregato niente di tutto quello. A me piacevano il pan biscotto inzuppato nel latte e la minestrina, e anche l’acqua gasata fatta con la frizzina. Mi piacevano perché li mangiavo con te dopo le nostre avventure nei campi.

Aspetta però, perché il sessismo non è mica roba solo per noi donne sai? Anche se da anni qualcuno ci dice che noi femministe siamo delle zitelle acide, non gli credere. Questa è una lotta anche per gli uomini, lo è sempre stata, e ti voglio spiegare il perché. Il sessismo c’era anche quando Benito Mussolini mandò tuo marito in guerra. Sai perché ce lo mandò? Perché era uomo, e l’uomo doveva essere marito, padre e soldato. Mio nonno fu tutte e tre le cose e per questo io non l’ho mai conosciuto. L’uomo-soldato partì per la guerra, fu fatto prigioniero due volte e poi, come pochissimi altri, tornò a casa. Non parlò mai della prigionia e degli altri uomini-soldato a cui aveva sparato, era cambiato, mi dicevi, finché un giorno morì davanti ai tuoi occhi. Un ictus, ti dissero, la guerra, dicevi tu. La guerra che ti perseguita ogni giorno, per anni. E mentre lui era stato mandato lontano per difendere la patria degli oppressori e dei faccendieri, tu tiravi su tre bambini tra le bombe alleate e i fascisti. Dalle camicie nere, mi raccontavi, dovevi nascondere anche il cibo perché in mezzo c’erano le patate americane. Che poi, mica venivano dall’America, venivano da un posto a una manciata di chilometri da casa tua. Ma che vuoi farci, gli stronzi spesso sono anche ignoranti, specialmente quelli che comandano.

Ieri ho pensato a te e al nonno, ma anche un po’ a me. Ho letto e studiato, ho visto luoghi e persone che a te non è mai stato concesso di conoscere. Ma ci ho impiegato tanto a capire che il femminismo era in tutto quello che mi raccontavi quand’ero bambina, era in tuo padre che fece mille sacrifici per farti prendere la licenza elementare, era in mio padre che non ha mai creduto che ci fossero giochi da maschi che non potevo fare e in mia madre che non ha mai creduto che ci fossero scuole da femmine in cui dovevo andare. Insomma nonna, ci sarebbero state tante cose da dire l’8 marzo, a me ne è venuta in mente una che capirai sicuramente: in mona i ruoli di genere. Mi piacerebbe dirtelo di persona mentre giochiamo a briscola e parliamo di come va il mondo e mi sarebbe piaciuto dirlo a mio nonno ventenne mentre ti portava al cinema in bicicletta. Ma purtroppo il passato non si cambia e forse nemmeno il presente. Il futuro? Quello sì che è ancora da scrivere e io ho avuto la fortuna di conoscere te per farlo.