Se la #satira non va giù neanche alla #Moretti

“Sarebbe bene che i comici e i cantanti si occupassero del loro mestiere” dice Alessandra Moretti, già deputata e candidata del Partito Democratico per la circoscrizione Nord-Est dagli studi di Mattino Cinque.

Ebbene, Moretti dovrebbe ricordare che sin dai tempi più antichi tanto la comicità quanto la canzone hanno svolto la particolare funzione sociale di critica a un apparato precostituito di tradizioni, leggi, ideali e persone: il mos maoirum, la vecchiezza del Senato, della romanitas di Catone e dei suoi precetti al figlio Marco che per Plauto e Terenzio – giusto per fare due nomi da poco – sembravano tanto appartenere a un passato da dimenticare così velocemente che andava schernito anche con ferocia.

La commedia e la satira, così come la musica e la letteratura, hanno rappresentato e continueranno a rappresentare la prima forma di espressione di dissenso (o di assenso) a una linea politica o sociale: senza la comicità e il riso la deriva verso l’autoritarismo prima e il totalitarismo poi appare come un ineludibile risultato. E’ – o dovrebbe essere – risaputo che tutte le dittature che hanno attraversato il ventesimo secolo hanno provveduto fra le prime cose alla soppressione degli organi di stampa e alla censura di ogni qualsivoglia immagine che ritraesse momenti comici o goliardici riguardanti il capo di un regime o i suoi gregari: Mussolini arrivò a far censurare una foto di un gerarca che inciampò durante una manifestazione.

Lungi da me paragonare una frase dell’onorevole Moretti al ben-sepolto periodo fascista, vorrei ricordare un motto che si trova sul frontone di molti teatri del poeta francese Jean de Santeul riguardo la satira. “Castigat ridendo mores” “corregge i costumi deridendoli”.

Visti gli inquietanti precedenti della ministra Boschi, forse bisognerebbe scolpirlo anche al Nazareno.