Quando la sera tornavano dai campi
sette figli ed otto col padre
il suo sorriso attendeva sull’uscio
per annunciare che il desco era pronto
ma quando in un unico sparo
caddero in sette dinanzi a quel muro
la madre disse
non vi rimprovero o figli
d’avermi dato tanto dolore
l’avete fatto per un’idea
perché mai più’ nel mondo altre madri
debban soffrire la stessa mia pena
ma che ci faccio qui sulla soglia
se più’ la sera non tornerete
il padre è forte e rincuora i nipoti
dopo un raccolto ne viene un altro
ma io sono soltanto una mamma
o figli cari
vengo con voi.
“La madre”, Piero Calamandrei
Settant’anni fa esatti, il 28 dicembre del 1943, cadevano, “in un unico sparo”, Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore Cervi, fucilati dai fascisti nel poligono di Reggio Emilia. Moriva anche Quarto Camurri, catturato con i fratelli Cervi ed altri partigiani nella notte tra il 24 ed il 25 novembre di quello stesso anno.
È la prima fase della guerra partigiana, quella più confusionaria ed incerta, dopo l’armistizio e la fuga del re, mentre tedeschi e repubblichini hanno ancora un controllo forte e capillare sul centro-nord. La “Banda Cervi” è tra i primi gruppi partigiani a “salire sui monti”, soltanto un mese dopo l’8 settembre: questa “reattività” non deve sorprendere. La famiglia Cervi, infatti, guidata dal padre Alcide, è un punto di riferimento per tutti gli antifascisti della zona fin dall’inizio della guerra. Sarà proprio il padre Alcide, evaso dal carcere all’inizio del ’44, a portare avanti il ricordo dei suoi sette figli, dei “sette rami falciati alla sua quercia”, fino alla morte, giunta per lui in tarda età nel 1970.
Quando si pensa alla vicenda e alla vita della famiglia Cervi, sembra di trovarsi all’interno di “Novecento”, il capolavoro di Bertolucci: i Cervi erano una famiglia contadina umile, ma anche moderna, che, nel corso degli anni, grazie agli sforzi di Alcide e dei suoi figli, si stava elevando sia economicamente sia culturalmente. Una famiglia che, però, ha deciso di correre il rischio di perdere tutto ciò che aveva per un’ideale, quello della democrazia, opponendosi con fermezza al regime fascista, quando avrebbe potuto, come tanti hanno fatto, accettare la dittatura per bieco opportunismo (salvo poi magari rinnegarla nel momento più opportuno) e vivere tranquillamente nel podere di cui era affittuaria.
La famiglia Cervi è un faro dell’antifascismo italiano. Dell’eccidio dei sette uomini si sta lentamente perdendo la memoria, e “f.lli Cervi” è spesso solamente una via dei nostri comuni, uno di quei tanti nomi che si leggono passeggiando o girando in auto. Facciamo sì che questa memoria resti, invece, ricordiamo ancora, dopo settant’anni, i fratelli Cervi, Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore, perché, finché ricorderemo il loro coraggio, la loro coerenza ed il loro esempio, “i figli di Alcide non sono mai morti”.
Ora e sempre Resistenza.