Io sono un privilegiato

Qualche giorno fa, nel mio comune, si è svolto un confronto fra rappresentanti dei quattro candidati (in realtà erano tre: il povero Pittella non se lo fila nessuno!) alla segreteria del PD. Incuriosito, sono andato a sentire cos’avessero da dire e lì, ascoltando soprattutto il rappresentante di Renzi e i suoi sostenitori, ho scoperto questa cosa: io sono un privilegiato.
Ma sarebbe ingiusto attribuirmi questo “titolo”, perché in realtà io lo sono solo indirettamente. Sì, perché, sentendo questi signori, il vero privilegiato è mio padre: 50enne, operaio metalmeccanico, al momento cassintegrato, che da sei mesi circa non riceve uno stipendio (sì, perché Lor Signori non ne hanno idea, ma prima che il procedimento della Cassa Integrazione giunga a compimento, occorrono mesi e mesi, durante cui non si vede il becco d’un quattrino).

Ma, chiaramente, non sono qui a parlarvi di mio padre, un uomo come tantissimi altri, il suo è solo un caso su milioni, purtroppo, lo prendo come esempio perché le parole che ho sentito si riferiscono proprio alle persone come lui.
Ma cosa fa di un operaio 50enne un privilegiato? Ma è ovvio! La protezione che riceve da quegli immondi mostri che sono i sindacati! Il sindacato è uno dei più grandi nemici del renziano doc: nella sua visione del mondo del lavoro è un residuo ottocentesco che blocca il mercato e non permette a degli eroici imprenditori e manager (fu proprio il sindaco di Firenze a dire di sostenere Marchionne “senza se e senza ma”) di elargire posti di lavoro e guadagnare ciò che si meritano.

In particolare, sono state due frasi a farmi rizzare i capelli:

“Il sindacato non deve limitarsi a difendere i lavoratori, deve fungere da intermediario tra le esigenze dei lavoratori stessi e del datore di lavoro, preoccuparsi di entrambe le parti!”

No. Non occorre essere esperti di diritto del lavoro per comprendere che la funzione (storica) del sindacato è quella di riequilibrare, nei limiti del possibile, un rapporto, quello tra il lavoratore subordinato e il datore di lavoro, che per sua natura è squilibrato. Si badi bene, non si parla (non primariamente, quantomeno) di uno squilibrio economico: l’imprenditore che compie investimenti si aspetta ovviamente di avere un profitto maggiore di quello che hanno i suoi operai. Lo squilibrio in questione è nel campo dei diritti: il lavoratore è, per definizione, subordinato, dipendente, il ruolo delle confederazioni sindacali è quello di offrire delle garanzie a tale soggetto, facendo sì che il rapporto di subordinazione sia, appunto, solamente di natura economica e non si trasformi in una moderna forma di schiavismo. A questo si aggiunga che i datori di lavoro hanno le loro rappresentanze (Confindustria, Confartigianato… vi dicono niente?), non spetta dunque al sindacato l’opera di mediazione.

“I sindacati vanno riformati perché proteggono solamente una categoria che è già forte!”

Ora, chiariamoci subito: esistono delle categorie più deboli dei normali lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato? Sì, senza dubbio ne esistono: precari, esodati, giovani senza lavoro, ecc, tutti gruppi debolissimi che non sempre i sindacati riescono a proteggere adeguatamente e che spesso non trovano rappresentanza. Però, da qui a dire che i lavoratori dipendenti siano una categoria “forte”, ne passa eccome: non è difficile capire, anche in relazione a quanto detto in precedenza, che, anche in un momento di tremenda crisi come questo, in cui migliaia di aziende chiudono, i datori di lavoro partiranno sempre da una posizione di vantaggio rispetto ai loro dipendenti (senza nulla togliere, sia chiaro, al dramma di quelle centinaia di imprenditori disperati, che, vista fallire la loro azienda, si sono tolti la vita).

Dire che esistono categorie più deboli è ben diverso da dire che quella in questione sia una categoria forte: è dovere della politica migliorare la situazione di chi è in condizioni disperate, ma se la soluzione, per questi sapientoni, consiste nel peggiorare le condizioni di chi sta poco meglio, in una sorta di “mal comune mezzo gaudio”, beh, dalla crisi non se ne uscirà.

In Italia, lo sappiamo fin troppo bene, ci sono decine e decine di vecchie istituzioni che andrebbero ammodernate, migliorate, anche ripulite, in molti casi, ma tra queste, i sindacati non sono certo al primo posto, con tutti i difetti che possono avere. A questi illuminati adepti della nuova politica, mi permetto di ricordare delle parole vecchie di trent’anni, pronunciate da Enrico Berlinguer: “Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora, ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi ed intollerabili privilegi.

Colpiamo i privilegi, allora. Sì, ma quelli veri.