La mercificazione della donna: tra miss, femministe e pornostar

Una delle notizie che tiene banco in Italia pare sia la cancellazione del programma tv miss Italia. La RAI ha bisogno di una sana ripulita, queste le intenzioni del presidente Anna Maria Tarantola: quindi via L’Isola dei Famosi e i concorsi di bellezza, che poi restino saldi in palinsesto Voyager e i bambini-cantanti-prodigio della Clerici be’… forse dà una misura di cosa pensano sia il servizio pubblico in RAI.

Ma questa non è la difesa di una trasmissione come miss Italia (peraltro di una lunghezza insopportabile). Io la tv non la vedo se non sporadicamente da almeno 2-3 anni, soprattutto dopo che ho scoperto che quella tedesca era, se possibile, pure peggio di quella italiana.. sì dopo che la superstar della musica teutonica Helena Fischer invita nel suo seguitissimo show Al Bano capisci che tutto il mondo è paese.

Siamo donne o pornostar?

Mentre scrivo, piuttosto, scorro mentalmente un luogo virtuale a dir poco esilarante (tranne rare punte di qualità) come la sezione Donne di Fatto de Il Fatto Quotidiano. Scrive Elisabetta Reguitti (che pure è una giornalista che ho stimato e continuo a stimare): “E in attesa di un concorso di bellezza che esprima e premi l’intellighentia” ma perché allora chiamarlo concorso di bellezza? Misteri del post-femminismo e delle agguerrite blogger in rosa del Fatto. Questo per spiegarvi il genere di argomentazioni che si leggono in quel piccolo angolo del web.

Inoltre scopro che è uscito un post della mia preferita, Monica Lanfranco, che se la prende (pure lei) con tale Valentina Nappi, professione attrice porno, rea di aver chiamato le femministe (cito testualmente) fighe di legno in questo video. Certo che la nostra eroina (che io non conoscevo) non è un Nobel per la letteratura, ma nemmeno la Lanfranco… A tal proposito cito anche lei:

Il video la ritrae nuda solo per la metà inferiore: una gamba sul pavimento di un bagno come tanti, l’altra sul lavandino, l’ordinata e coltivata vagina in primo piano.

La coltivazione della vagina purtroppo è una piaga con cui dobbiamo fare i conti, d’altronde, come leggo sul sito Style.it

Bisogna essere Patti Smith per essere Patti Smith, e quel baffo lì lo può portare con disinvoltura giusto lei.

Ma perché parlare di tutto ciò? Perché la mercificazione del corpo della donna è la bandiera del post-femminismo. Ok la libertà sessuale, ok essere nude (se vivi in una repubblica islamica ancora meglio) ma la mercificazione occidentale no: puoi andartene in giro col fondoschiena di fuori, ma non puoi farlo su un cartellone pubblicitario. Insomma non puoi farci i soldi. Perché quelli sono lo spartiacque tra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Ma qui sta la debolezza della teoria.

Ad esempio anche Laura Boldrini sbaglia a generalizzare tanto quanto la pornostar. Cito anche lei:

E’ inaccettabile che in questo paese ogni prodotto, dallo yogurt al dentifricio, sia veicolato attraverso il corpo della donna. In Italia le multinazionali fanno pubblicità usando il corpo delle donne, mentre in Europa le stesse pubblicità sono diverse. Dall’oggettivazione alla violenza il passo è breve.

No, le pubblicità in UK o in Germania non sono granché diverse rispetto a quelle italiane. Né è conclamata una relazione diretta tra la violenza domestica e la pubblicità o il porno. Anzi consiglio alla nostra brava presidente della Camera questo articolo di Ellen Willis. E a dirla tutta l’Italia è un Paese relativamente poco violento con le donne, ne avevo già parlato (dati alla mano) in un altro articolo a proposito di femmincidio.

Merce buona e merce cattiva

Marx è stato uno dei primi a porsi il problema sul cosa sia la merce. In breve la merce ha un valore dato dal lavoro concreto e dal lavoro astratto, quest’ultimo, sempre in sintesi, è ciò che la società riconosce come utile per i suoi fini. Mi sembra una definizione che al di là del provenire da Marx possa essere facilmente accettabile da tutti. La domanda quindi è perché per alcune esistono merci lecite e illecite, e nel caso specifico perché il cervello di una donna può sottostare alle leggi del mercato e il suo corpo no?

Feticismo della mente

La trappola post-femminista è in realtà l’espressione di una mistificazione sociale più ampia, il feticismo della mente: è opinione comune che il vantaggio evolutivo dell’Homo Sapiens sulle altre specie sia stato uno sviluppo superiore delle sue capacità mentali, ma questo è vero solo parzialmente. La grande rivoluzione dell’Homo Sapiens fu una rivoluzione di corpo, ossia la postura eretta (cfr. S. J. Gould). Una più equilibrata visione dell’universo è, a mio modesto parere, una visione contemporanea di ciò che la mente limita nel corpo e viceversa: anche la scienza risponde a ciò che è il nostro corpo, tanto che per quanto complicato – e quindi per quanto richieda lavoro cerebrale – un telescopio o un microscopio non sono altro che occhi.

La mente umana ha invece acquistato, probabilmente dopo secoli di illuminismo, scientismo e filosofi di ogni genere, una superiorità ideale su tutto il resto dell’essere umano, per cui anche la sua mercificazione è cosa legittima, proprio perché ritenuta a superiore alle grette mercificazioni del corpo. Ma la merce, che venga dalla mente o dal corpo, nella nostra società ha vita propria e risponde solo alle leggi del mercato: che io venda una mia poesia o la mia vagina coltivata per il mercato non fa differenza, anzi una poesia può essere tranquillamente scambiata con l’uso (una volta o due, dipende da chi contratta) della vagina coltivata. Del rapporto tra poesia e merce aveva parlato brillantemente (e certamente meglio di me) Furio Jesi.

La pornostar è una donna libera?

Ci sarebbe un discorso ben più ampio da fare, e non lo faccio ora, però rigiro la domanda: è libera la giornalista che dà mazzate intellettuali alla pornostar? La realtà è che se la sua merce (e non lei) non fosse socialmente interessante non leggeremo nemmeno mezzo dei suoi articoli, il che potrebbe anche essere un bene perché non dovremmo assistere a una battaglia a colpi di legnate (di figa? sto sempre citando eh). Il corpo è una brutta merce per un retaggio culturale che pure le femministe combattono. Il corpo ha nella cultura religiosa (principalmente monoteista) un’ambivalenza quasi paradossale: è tempio divino e debolezza di cui liberarsi quanto prima. Perciò in quanto luogo sacro e veicolo del peccato allo stesso tempo, si cerca di vietarne la compravendita, perché la cosa fa schifo in ben due modi opposti. Bingo! Ma come diceva Veronica Franco, semisconosciuta poetessa e cortigiana:

La vergogna è nell’alterigia di chi compra

E non nelle ragazze in vetrina ad Amsterdam, aggiungo io quasi 500 anni dopo.

Ora che abbiamo appurato che il valore del concetto di merce, almeno per me che sono una vetero-marxista, è indipendente dalla sua origine, e che quindi il prodotto della mente si sottomette al mercato tanto quanto quello del corpo, vediamo di dare un’indicazione pratica al femminismo moderno.

I bordelli sono di sinistra

Ma anche di destra eh. Però a me interessa che si dica che sono anche di sinistra. Ai tempi della sopra citata Veronica Franco, Venezia e Roma erano bordelli a cielo aperto (più della moderna Amsterdam), le prostitute (allora cortigiane) avevano un tariffario coerente con la loro offerta, offerta in cui rientrava anche una certa dose di cervello (tiè): si trattava infatti di donne molto più istruite rispetto alle loro consimili avviate al matrimonio, donne che però va detto, non avevano scelta, esattamente come le loro colleghe da far sposare. Secoli prima Saffo nel tìaso dedicato ad Afrodite educava giovani donne facoltose alla futura vita coniugale, compresi quindi anche i piaceri del sesso, con pratiche (ovviamente) omosessuali che nella lontana (ahimè) Lesbo erano considerate propedeutiche all’eterosessualità. Questi mondi lontani, fatti anch’essi di luci ed ombre (la mancanza di una reale scelta di vita), hanno via via perso d’importanza storica e una strada come un’altra è diventata peccato mortale. La conseguenza sociale la vedete tutti: in Italia le strade di notte (ma anche di giorno ormai) si riempiono di ragazzine importate dall’est Europa dalla criminalità organizzata, persone che per la legge non esistono. Vuoi vedere che la colpa è di miss Italia?

La piega che sta prendendo un certo post-femminismo è secondo me insidiosa e lo dico da persona di sinistra prima che da donna. Spesso infatti si tende a fare una critica fortemente parziale e circoscritta dell’attuale sistema economico e sociale, sperando così facendo di aver eradicato il problema. Ma non funziona così. Se oggi si vietasse completamente la mercificazione del corpo femminile cosa se ne ricaverebbe? Nulla. Oddio magari non avremmo tette e culi (anche questa è una citazione) in televisione, ma per la donna cambierebbe forse qualcosa? Non dovrebbe comunque continuare a vendere il suo cervello anziché il suo corpo per sopravvivere? Sì. Perché il principio di fondo è l’esistenza delle merci e del mercato, non il tipo di merci.

Andando quindi oltre la mercificazione, il problema pratico sta a mio avviso nel fatto che alcune correnti post-femministe vorrebbero imporre alla donna un proprio modello, nonostante proprio la creazione dei modelli (la moglie, la madre, la prostituta, col relativo modello di uomo) abbiano provocato la necessità di una liberazione femminista. La gabbia del mercato è più grande rispetto a quella delle nostre nonne, ma resta pur sempre una gabbia. All’interno di essa possiamo comunque utilizzare una libertà (parziale) che è quella di scegliere (essere mogli, madri o prostitute o tutte o nessuna di esse) e provare a raggiungere almeno la parità fra i generi – nel bene e nel male – scopo che il femminismo di oggi sta perdendo di vista.