Lefkowitz, Kobilka, Gurdon, Yamanka, Haroche, Wineland, nomi di perfetti sconosciuti che non somigliano nemmeno un po’ a quelli di Curie, Natta, Levi-Montalcini e Einstein. Eppure tutti loro hanno in comune l’aver vinto il premio più importante al mondo, il Nobel. Non va meglio con la letteratura: Coetzee e Müller, non sembrano ai più nemmeno lontani cugini di Hesse, Beckett o Pasternak. Se chiediamo a una persona per strada chi erano i grandi geni fino a metà ‘900 avrebbe solo l’imbarazzo della scelta tra i vari Fermi, Sartre, Montale, Segrè, ma se gli chiediamo chi sono i grandi geni di oggi è facile che risponda Steve Jobs.
Ciò che più facilmente si pensa è che oggi i Nobel e in generale la cultura sia molto più specialistica e settaria e che quindi per la persona comune sia difficile comprendere la portata delle scoperte recenti. Ma la cosa non mi convince granché, perché, ad esempio, ben pochi sanno realmente con quale motivazione Einstein abbia vinto il Nobel (no, niente teoria della relatività). Insomma quel poco che si sa oggi si sapeva anche ieri.
C’era più spirito patriottico e in realtà c’è ancora, e certamente ha il suo valore il fatto che gli ultimi 4 Nobel italiani per la medicina e la fisiologia siano stati presi da italiani residenti (se non naturalizzati) negli Stati Uniti. Ma anche questo punto non mi convince, gli italiani conoscono Einstein ma continuano a non conoscere Kobayashi.
Paradossalmente il fatto che più persone possano accedere alla conoscenza (con tutto lo strascico di una più serrata competitività) ne ha allontanato molto di più le persone comuni. Si è formata una specie di élite allargata che ha poco interesse a comunicare col mondo esterno, nonostante le scoperte che produce abbiano un grosso impatto nella vita di tutti i giorni. L’altro danno lo fanno i giornalisti, molto più approssimativi quando si parla di scienza, economia o letteratura di quanto non fossero i loro predecessori: fa più notizia il tunnel della Gelmini del lavoro di decine di persone sulla fisica dei neutrini. La gente comune è stata disabituata al linguaggio tecnico e scientifico, a scuola si arriva forse a studiare Montale, il resto sparisce nella fumosa definizione di “contemporaneo”.
Siamo abituati a cercare da soli le informazioni (tantissime) ma non siamo educati a filtrarle in modo critico. Possiamo ottenere quello che vogliamo facendo una ricerca su Google, dalle regole dell’alimentazione all’energia, è più facile, eppure ci sta rendendo più ignoranti di chi sentiva la radio una volta al giorno al bar del paese. Dobbiamo pretendere da noi e dal mondo dell’informazione il diritto alla lentezza e alla fatica della conoscenza, è l’unico modo per saper riconoscere i geni del nostro tempo e non relegarli agli ultimi 2 minuti del TG1.