#USA2016, tutta Hillary punto per punto

Le elezioni presidenziali USA si avvicinano: i due candidati hanno già affrontato due dei tre dibattiti in programma prima dell’8 novembre, quando si saprà chi fra Hillary Clinton (Democratici) e Donald Trump (Repubblicani) sarà il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Diversi scandali stanno funestando queste ultime settimane: dalla fuga di email dei collaboratori privati di Hillary, che denotano da parte della ex first lady brama di potere e confermano il poco appeal verso gli elettori economicamente a disagio, alle molestie sessuali che sembrano coinvolgere il magnate nominee del Grand Old Party.

Premetto che la mia analisi della piattaforma del Partito Democratico USA non rappresenta un endorsement a Hillary Clinton contro Trump, né tantomeno il contrario: non ho mai condiviso la ‘teoria del male minore che viene da qualche anno a questa parte applicata alle categorie politiche e che tende, in nome di un avanzamento verso il centro(destra), a favorire politiche neoliberali come quelle che hanno caratterizzato e caratterizzano i governi “progressisti” (Blair e Clinton ieri, Hollande e Renzi oggi) e che hanno impoverito e oppresso le classi sociali più deboli. L’intento è invece quello di delineare un quadro completo ed esaustivo delle politiche che verranno proposte da colei che secondo i sondaggi guiderà gli Stati Uniti per i prossimi quattro anni, pur ritenendoci completamente distanti sia da lei che dal suo partito.

Le cinquantacinque pagine della piattaforma, approvata il 21 luglio 2016 alla Convention di Philadelphia, sono un compromesso fra le anime del partito, dalla più progressista guidata dal senatore Bernie Sanders a quella conservatrice. L’apertura è affidata a un preambolo che loda l’azione di Barack Obama in tema economico e sanitario, senza però dimenticare che ancora adesso milioni di persone lottano per un lavoro ben pagato, un’assistenza sanitaria decente e un’educazione che includa tutti. Si sottolinea come questi principi siano in netto contrasto con quelli dei Repubblicani, che hanno «nominato un candidato che cerca di appigliarsi alle più infime differenze invece che alle più nobili qualità degli Americani». Senza giri di parole, la piattaforma afferma che queste elezioni riguardano «chi siamo come nazione e chi saremo nel futuro.». La retorica apocalittica in caso di vittoria di Trump, uno dei leitmotiv della campagna elettorale, è tutto fuorché assente: il candidato del GOP sarà infatti nominato, direttamente e indirettamente, altre 40 volte in appena 55 pagine.

Scendendo nel concreto, il primo capitolo è dedicato all’aumento salariale e a misure volte a ristabilire la sicurezza economica per la classe media, riaffermando uno dei capisaldi della great middle class americana:«Se lavori sodo e ti comporti secondo le regole, puoi andare avanti e restare avanti». Questo sistema non funzionerebbe con un’economia tutta rivolta verso l’alto e non verso i lavoratori: è necessario dunque alzare il salario minimo federale ad almeno 15 dollari l’ora (Sanders ne avrebbe voluti 21, ma ha incontrato il muro di gomma dei delegati clintoniani), assicurare a tutti di potere unirsi a un sindacato e abolire il sotto-minimo per i lavoratori ‘a mancia’ (categoria che stranamente ancora fatichiamo a conoscere in Italia).

When Workers are strong, America is strong”, dicono i Dem: è quindi essenziale che i lavoratori possano beneficiare di un buon livello di tutele sociali (ferie pagate per 12 settimane per le lavoratrici o i lavoratori che hanno un bebè appena nato o con un familiare con seri problemi di salute, aiuto ai caregiver). Inoltre si deve incentivare – senza specificare come – le società a dividere i profitti dei manager con i dipendenti per incrementare i salari di questi ultimi. Gli americani dovrebbero beneficiare di un tetto sotto cui vivere: così non è. I Dem vogliono incentivare la proprietà domestica e lenire le rate per gli affitti, ormai insostenibili per la middle class. Oltre a ciò, gli USA hanno un gravissimo problema: i senzatetto, molti dei quali sarebbero dei veterani di guerra. A ciò si vorrebbe porre rimedio, anche qui senza specificare in concreto come. Si vorrebbe espandere il programma di Social Security (benefici per i pensionati, i disabili e i giovani orfani) tassando le persone con più di 250.000 dollari di guadagno.

Tutto ciò si ricollega all’enorme problema di ‘Creare posti di lavoro ben pagati’, cui è intitolato il secondo capitolo: costruire infrastrutture (ponti, strade, aeroporti, linee ferroviarie pubbliche e di trasporto merci) ecosostenibili e attente ai bisogni delle comunità locali attraverso la creazione di una banca nazionale indipendente e tramite l’emissione stabile dei titoli ‘Build America’, strumenti utilizzati proprio per incoraggiare gli investimenti sulle infrastrutture da parte dei governi statali e locali; incoraggiare l’investimento su posti di lavoro ‘verdi’, legati alla ricerca scientifica e tecnologica, capaci di includere anche persone disabili; rinnovare i finanziamenti alla NASA.

Gravosa è anche la questione dei giovani: uno su dieci è disoccupato, e il tasso aumenta fra gli afroamericani, i latinoamericani, gli asiatici americani, i nativi e i giovani con disabilità. I Democratici si impegnano a finanziare con fondi federali queste fasce particolarmente disagiate.

Il capitolo ‘Lottare per la giustizia economica e contro la disuguaglianza’ sembra ispirato agli argomenti retorici della campagna di Bernie Sanders e della ‘sceriffa anti Wall Street’ Elisabeth Warren: «L’un percento detiene tanta ricchezza quanta il 90 percento della popolazione». Perciò i Democratici si impegnano a combattere contro «l’avarizia e l’ingordigia di Wall Street» che non può essere «un’isola sulla quale puntare milioni in strumenti finanziari rischiosi e fare enormi profitti, pensando che tutto ciò sia poi sopportato dai contribuenti». Per controllare la finanza, il Democratic Party intende nominare ispettori indipendenti, rinforzare il CFPB (l’ufficio pubblico federale dei consumatori) – senza dire come – e continuare a garantire l’indipendenza della Federal Reserve, tassare i miliardari con una sovrattassa ed eliminare il sistema di tassazione privato per i ricchi, specie per i gestori di fondi speculativi.

Un governo democratico deve sostenere il dinamismo economico mondiale e gli accordi commerciali che promuovano alti standard ambientali, lavorativi, gastronomici e di salute, incluso il criticatissimo TPP (Trans-Pacific Partnership). Pare che la libera circolazione delle merci e dei capitali resti un caposaldo delle politiche democratiche, non recependo uno degli argomenti della campagna di Bernie Sanders.

L’ulteriore capitolo è sull’”Unire gli Americani rimuovendo le barriere alle opportunità”: ciò si ottiene – secondo la piattaforma uscita dalla Convention di Philadelphia – ponendo fine al razzismo sistematico, riscontrabile nella differenza di reddito fra i gruppi etnici presenti negli State, in una riforma della giustizia criminale (per la prima volta i Democratici affermano di voler abolire la pena di morte, su cui Hillary Clinton non è d’accordo); supporto all’immigrazione legale entro certi limiti e risoluzione del problema dei milioni di immigrati che vivono senza documenti sul suolo americano (un altro dei cavalli di battaglia della ‘political revolution’ di Bernie Sanders); garantire i diritti delle donne e quelli delle persone LGBT; rinforzare i rapporti con le comunità autonome dei nativi americani e con quella di Puerto Rico.

I Democratici si preoccupano di superare la decisione della SCOTUS (Corte Suprema degli Stati Uniti d’America) sul caso Citizens United e Buckley v. Valeo, con i quali la Corte spianava la strada all’ingresso nelle campagne elettorali di spese illimitate da parte di grandi aziende e dei maggiori sindacati. La conseguenza di queste sentenze è stata la nascita dei super PACs, i grandi fondi economici di cui tutti i candidati alla Casa Bianca – eccezion fatta per il socialdemocratico Sanders e per il tycoon Trump – hanno beneficiato, compresa Hillary Clinton (tra le più sfacciate violazioni della norma del “non coordinamento” va segnalata l’attività dei “big donors” di Hillary Clinton. Uno dei suoi PAC – Correct the Record – fornisce risultati di ricerche e altre comunicazioni direttamente all’organizzazione elettorale dell’ex Segretario di Stato). Pur con questi presupposti, i Dems si impegnano a nominare giudici che incurvino l’influenza dei miliardari sulle elezioni, difendano i diritti delle minoranze linguistiche, religiose, sessuali ed etniche, proteggano i principi costituzionali di libertà ed uguaglianza per tutti.

Sull’ambiente i Democratici dimostrano effettiva lungimiranza, contro l’oscurantismo e l’ottusità del GOP, che si ostina a bollare i fenomeni legati al cambiamento climatico come bufale scientifiche.

Due capitoli importanti sono dedicati al problema dell’educazione e dei debiti universitari e alla sanità. Sotto quest’ultimo aspetto i Democratici rivendicano gli avanzamenti compiuti dall’amministrazione Obama grazie al Medicare e al Medicaid, che hanno esteso l’assistenza sanitaria a più di 20 milioni di Americani. Ciò, ovviamente, non basta e se da una parte Donald Trump e i repubblicani vogliono abrogare l’ACA (Affordable Care Act), che garantisce cure a 10 milioni di americani e privatizzare e ‘voucherizzare’ il piano Medicare, i democratici si propongono di estenderla a quanti più americani possibili, con misure non meglio specificate nel programma. Vengono rigettate le misure proposte da Bernie Sanders sulla sanità (il socialdemocratico puntava a una “sanità alla europea”), mentre sui college l’apparato dem dimostra apertura a una completa risoluzione del problema.

Spinoso è il problema delle armi. «Possiamo rispettare i diritti dei proprietari d’armi ma allo stesso tempo dobbiamo tenere al sicuro le nostre comunità». Un controsenso, visto che le proposte dei democratici si limitano a assicurare controlli preventivi e a bandire solo alcuni tipi di armi d’assalto (LCAMs).

In politica estera i Democratici sostengono di dovere e volere rinsaldare la NATO contrariamente a Trump, che vorrebbe smantellare il Patto Atlantico.

«Rigettiamo le minacce di Donald Trump di abbandonare i nostri alleati Europei e NATO, mentre egli loda Putin. Quando gli Stati Uniti sono stati attaccati l’11 settembre 2001, i nostri alleati NATO hanno invocato l’Articolo 5 del Trattato Nordatlantico, affermando che un attacco contro uno è un attacco contro tutti […]. I nostri alleati hanno combattuto al nostro fianco in Afghanistan, dove sono ancora oggi. Vogliamo mantenere l’Articolo 5 perché siamo più forti quando abbiamo i nostri alleati al nostro fianco. E continueremo a spingere i membri NATO a fare la loro parte.»

Verso Cuba l’approccio è di supportare i diritti umani e le libertà universali di cui tutti devono godere mentre sul Medio Oriente si spendono colpevolmente troppe poche parole, eccezion fatta per la questione israelo-palestinese (sostegno alla soluzione “Due popoli, Due Stati”).

La Piattaforma democratica sembra presentare punti significativi di innovazione, grazie al lavoro dei delegati vicini a Bernie Sanders che hanno cercato di inserire tematiche progressiste lontane dalla third way (bill)clintoniana. Dobbiamo però mettere in guardia chi legge: la fuga di email ha  sgombrato ogni dubbio sulla persona di Hillary Clinton, che ha iniziato a esprimersi in pubblico come il senatore del Vermont per il solo fine elettorale; a ciò si unisce l’aiuto enorme che la grande finanza ha dato e continua a dare alla ex segretario di Stato: come può dunque Hillary Clinton proporsi quale paladina degli interessi dei più deboli se è costantemente finanziata e aiutata dall’1% che dice di combattere? L’impressione è che, oltre al tremendo spirito imperialista made in USA mai sopito e sostenuto da(i) Clinton e dai Democratici, poco riuscirà a fare Clinton per quella classe operaia che il suo anziano competitor alle primarie aveva cercato di rappresentare.