Storie meticce di colonie e #partigiani: #WuMing in Deutschland

Sfogliando un quotidiano italiano qualsiasi non è difficile leggere a inizio anno scolastico “Boom di studenti stranieri” nella tal scuola della tal città. Si chiamano in causa educatori, ministeri, sindaci e genitori, che devono far fronte a questo inusuale fenomeno con cui si manifestano la “modernità” e la “globalizzazione”. Ma c’è stato più di mezzo secolo fa un ventenne partigiano che non era bianco e non era nemmeno nato in Italia, ma a Mahaddei Uen, un villaggio nel sud della Somalia. E che ci fa un italo-somalo, per giunta nero, nella Resistenza italiana? Ci fa quello che fanno tutti gli altri, combatte per la libertà e la giustizia. Se sua madre era somala il motivo è tanto semplice quanto prontamente cancellato dalla memoria di questo Paese: una parte della Somalia, a partire dal 1908, era ufficialmente una colonia italiana.

Nel 2013 a Kiel, cittadina tedesca sul Baltico, non succede granché, ma capita di sentir parlare di colonialismo italiano e molto altro da e con Wu Ming 2 (che pare si chiami anche Giovanni Cattabriga, ma a noi piace più Wu Ming…).

“Timira” racconta una storia diversa seppur legata a quella del partigiano Giorgio Marincola (la cui memoria è più estesamente curata in Razza Partigiana), la storia di Isabella Marincola, sua sorella e anche lei come Giorgio inusuale nera nell’Italia “ariana” degli anni ’20 e ’30. Il libro è firmato da Isabella (morta nel 2010), Wu Ming 2 e Antar Mohamed (il figlio di Isabella), fusi in un progetto transmediale multiautore

Ma con Wu Ming 2 non si è parlato solo di storie meticce (e nel caso non li abbiate letti vi consiglio caldamente sia Timira sia Razza Partigiana), almeno qui a Kiel si è parlato anche di accesso libero alla cultura. Come chi li conosce sa, i libri di Wu Ming poco dopo essere usciti in libreria sono disponibili gratis in versione digitale (pdf e altri formati di testo), inoltre grazie alla collaborazione di Einaudi (eh già, proprio Einaudi) un libro firmato da Wu Ming può essere completamente fotocopiato a patto che la copia non venga prodotta a scopo di lucro.

Allora è possibile mettere in discussione non tanto il principio della protezione del diritto d’autore, quanto la sua forma legale odierna? Lo potrebbero fare innanzitutto gli autori e le case editrici , ma anche i governi possono provare a ripensare alle regole del mercato della cultura. Un passo piccolissimo ma pur sempre apprezzabile lo hanno fatto recentemente proprio la Germania e l’Italia (pur con qualche grave pecca) con le pubblicazioni scientifiche. Per inciso questa è una di quelle cose che ci chiede l’Europa ed è una delle poche di cui sento di non potermi lamentare. Abbiamo anche, dal 2006, una rivista peer reviewed completamente gratuita e a mio parere di buona qualità, si chiama PLoS ONE ed è interessante anche la sua filosofia del “prima pubblichiamo e poi giudichiamo”: in pratica chi visita PLoS ONE può commentare gli articoli e dargli un voto, come in una specie di peer-review molto allargata.

In ambito umanistico però, a detta di Wu Ming, l’open access è lontano dall’essere applicato su larga scala, e certamente vale anche il fatto che lo stipendio di un ricercatore (in ambito accademico) non proviene dalle stesse fonti da cui proviene quello di uno scrittore o di un musicista. Eppure il collettivo bolognese ha dimostrato che si può esercitare il diritto a proteggere il proprio lavoro intellettuale in modo diverso, rendendone contemporaneamente fruibili i prodotti a tutti. Sono possibilità concrete che si erano già manifestate dopo l’ondata dei download illegali di musica e film, fenomeno che nonostante la repressione (spesso a sua volta borderline fra legale e illegale) e la chiusura di numerosi siti non si è riusciti ad arginare, se non fornendo un modello diverso di fruizione dei contenuti: da Spotify al caso più noto dei Radiohead, di cui si poteva scaricare l’album In Rainbows” lasciando un’offerta libera (quindi anche gratuitamente e in modo perfettamente legale, eppure molti hanno pagato per avere un prodotto che ritenevano di qualità).

Il dibattito sull’open access oggi è molto più vivo di quanto avremmo pensato un decennio fa e tocca tutti i campi della cultura e del sapere umano. Stanno fiorendo tantissime soluzioni, tutte migliorabili e a volte anche allargabili da un settore a un altro. Sarebbe un peccato lasciar morire queste idee: personalmente a una proprietà intellettuale ariana ne preferisco una meticcia.